Non ho mai letto nulla di Marco Balzano. La mia ignoranza da qui in giù sarà feroce.
Regolarmente, d’estate in libreria, mi arrivano scatoloni timbrati Sellerio: sono carichi di Camilleri, Malvaldi, a volte ne arrivavano alcuni di soli cataloghi.
Rimango sommersa dalla letteratura, sei mesi all’anno, senza via d’uscita. Nel senso che se volessi per caso una copia di Moravia, De Silva o Balzano da tenere in vetrina, sia mai. Premio Strega? Premio Campiello? Chi li compra al mare? Sono ordinati? Mi viene chiesto dall’alto. No, rispondo, perché effettivamente no, non lo sono, ma diamine, non ho chiesto la guida delle Alpi o il manuale pratico del rigattiere. Allora non servono, mi riferiscono secchi, serve la letteratura, quella che si legge.
Che cos’è la letteratura QUELLA CHE SI LEGGE ? Magari ne parlo un altro giorno.
Intanto è arrivato il momento di aggiungere che sì, lavoro in una libreria, ma questa libreria è qualcosa di ibrido tra una libreria in perenne allestimento e un negozio di articoli da regalo. E pure un’altra cosa: il titolare della libreria è uno solo, ma per la sua smisurata capacità di gestire in modo così poliedrico vari tipi di attività contemporaneamente e in varie zone d’Italia (librerie, negozi di borse, campi di radicchio, se non ho capito male), per questo suo modo di coordinare e muovere le cose (le cose funzionano finchè mungono cit) , a me viene proprio naturale parlare di lui al plurale. Molto rispetto, un po’ meno stima, devo ammettere.
E per quelli che credevano che fossi uscita da una favola, la favola della libraia, io direi che mi pare più da una raccolta di racconti, di quelli che finiscono dopo due pagine. Selfpubblishing, tra l’altro, dove non si capisce nemmeno lo stile dell’autore.
In inverno poi, quando mi sposto, per esempio a Roma come quest’anno, una delle prime domande che si può fare ad una persona conosciuta è Che cosa fai nella vita. Non so mai cosa rispondere, mi verrebbe da parlare di tempo, piuttosto. O di quello che ho cucinato per pranzo. Faccio quella che evita di dar spiegazioni, perché altrimenti, a grattare troppo, verrebbe fuori pure che mi vergogno del mio accredito da libraia, per entrare alla fiera quando e quante volte voglio, durante questi cinque giorni.
Insomma, ora devo pure buttare giù due righe su Marco Balzano, altrimenti sta cosa che scrivo, tanto vale che non la chiamo Più Libri Più Liberi (Marco Balzano).
Ninetto é il protagonista de L’ultimo arrivato, nasce in un posto, emigra in un altro, cresce, gli accadono delle cose in un contesto non proprio borghese e va a finire che si ritrova adulto e stupito nei giorni nostri. Voilá, guarda che bella fetta di Italia ci hai descritto, Marco (niente spoiler, ho solo riportato la quarta di copertina).
E poi Ninetto! Ma che bel nome, perché mi è così familiare? Davvero tanto, tanto familiare. All’improvviso mi torna in mente Sandra Petrignani e il suo Addio a Roma, uscito per Neri Pozza nel 2012, in cui l’autrice impasta dettagli biografici della vita di molti (moltissimi) esponenti dell’arte e della letteratura del 900, alla vita di una ragazza, Ninetta, che si ritrova catapultata in quella che è la Roma intellettuale tra gli anni 50 e i primi del 70.
A distanza di qualche anno, a rileggerlo, trovo la parte romanzata decisamente debole, e pure frettolosa in alcuni punti, resta comunque a mio parere un bel saggio, un trampolino di lancio per chi (come me, quando l’ho letto) non saprebbe da che parte affondare le mani nel secolo scorso. Praticamente il rovescio de L’ultimo arrivato, a sentire la presentazione.
A fine incontro mi avvicino a Balzano, sta sistemando alcuni fogli nella borsa, ha ancora una penna in mano. Si ferma, mi guarda e forse pensa che dovrà fare un autografo, e a me un po’ dispiace non avere il suo libro dietro, ma non amo particolarmente le firme o le dediche, glielo dico e ride, riponendo la penna in tasca. Scopro così che nemmeno lui si era accorto di quella vicinanza con la storia della Petrignani, nonostante la conosca bene.
Chiacchieriamo un po’, Salutamela se la vedi, mi dice. Chissà che ha pensato, io, Sandra l’ho vista una volta al bar a Lepanto, beveva un caffè, però non glielo dico, questa me la segno, penso. Magari poi, un giorno, va a finire che nasce una rubrichetta qui, sulle coincidenze, ma di quelle piacevoli, come questa. Ne ho almeno una decina, già annotate.
[Continua]