Stagionatura

E poi arriva un momento in cui i fatti accaduti hanno stagionato abbastanza e possono essere raccontati, tipo quella volta, era l’anno scorso, sul lungomare tra Messina e Catania mi stavano per affittare una casa a cento euro al mese, ma solo se l’avessi presa per un minimo di dodici mesi. Ecco, io ora starei facendo la mia ultima settimana, sul lungomare tra Messina e Catania, se avessi accettato.

Geco su Teflon antiaderente

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Piove da settimane, con brevi interruzioni pomeridiane, non ricordo più come si annaffiano i fiori in balcone. Sembra che questa parte d’Italia si sia scordata che a maggio non è autunno, forse sta facendo la scorta di acqua per l’estate.
In questi giorni sto seguendo un piccolo gruppo di illustrazione: tre bambini e tre mamme che temperano le matite colorate dei rispettivi figli, più io che raccolgo i trucioli che le mamme fanno cadere con i gomiti. I bambini disegnano nuvole, trattori e ricci, scriviamo storie dove i ricci si nascondono nei raggi delle ruote dei trattori e “le nuvole sono blu o verdi, perché riflettono la terra e il mare”, guardiamo fuori dalla finestra dell’aula affittata a dieci euro l’ora nei pressi della Laurentina.

Ho trovato un tondo di muffa verde sul soffitto in bagno, dietro la cassetta di scarico dell’acqua. Mai visto niente del genere, quasi una giungla in miniatura, con tanto di pallini gialli, tipo bulbi di tulipano. Roba piccola, metà palmo di diametro.
L’ho lasciata lì, sperando di vederla sfiorire con l’arrivo del bel tempo, non mi attirava l’idea di andare a interferire con l’ecosistema che si era creato, quando abiti da solo puoi anche fare finta di niente per un po’.
Così sono passati tre giorni, forse quattro, ieri poi, facendo la doccia, ho visto un geco a pochi centimetri  dalla muffa, non capisco come ci sia entrato in bagno, so che non amano molto l’umidità, così mentre mi insaponavo i capelli lo guardavo e pensavo a tutte le zanzare che sarebbero nate a giugno, dopo tutta la pioggia di aprile e maggio.
I gechi vanno matti per le zanzare e i ragnetti, poi questo era proprio magrolino, gli serviva un pasto abbondante.
Erano quasi dello stesso colore, il geco e la muffa, ma il geco aveva un’aria molto autoritaria, sicuramente più della muffa, attaccato alle piastrelle con una stabilità da fare invidia ai quadri appesi in casa. Non l’avrei cacciato, mi piacciono le zampe che ha, e mi sono ricordata che una volta, in seconda elementare, la maestra di matematica mi ha detto che i gechi camminano su tutto anche a testa in giù, tranne che sulle pentole antiaderenti perché sono di un materiale che si chiama Teflon, e io la settimana dopo, in una verifica di scienze, sotto la domanda “dove non funziona la gravità?” ho disegnato dei pianeti e una padella con un geco dentro.

Un velocissimo battito di palpebre inverso, dal basso verso l’alto, l’ho visto estrarre la lingua e passarla sopra quella sostanza lichenosa.
Ho spento l’acqua, agitato le tende, lui non si è mosso. Allora ho preso un’infradito e, allungando il braccio, avvicinata per provare a spostare il geco senza fargli male. Non penso quella muffa faccia bene, meglio le zanzare, poi magari con i tre bambini ci scriviamo una storia su di te.
Lui ha girato la testa dall’altra parte, verso la cassetta per lo scarico, ha staccato una zampa dal soffitto e si è lasciato cadere ai miei piedi, quasi rimbalzando sull’altra infradito rimasta a terra. Poi attraversando la doccia in diagonale è risalito sulle piastrelle e scrollandosi di dosso qualche goccia d’acqua, ha riconquistato il suo posto accanto alla muffa. Non si è più mosso. Sono entrata poco fa in bagno, è ancora lì.

 

Persone che non fanno niente (quindi fanno qualcosa)

Tempo fa sul n°16 della rivistaA4 (clic qui per scaricare il numero a colori) è uscito un mio micro racconto illustrato, chiamato “Persone che non fanno niente (quindi fanno qualcosa)” e denominato dalla redazione: “Graphic Short Story”.
Allora, io quando mi sono messa a disegnare la prima tavola (la prima di due, visto che la rivista è composta da un unico foglio A4), avevo già in mente tutte le scene e la primissima cosa che ho pensato è stata speriamo che mia madre non lo veda, questo numero, che poi ci voglio mettere in mutande una ragazza che mi assomiglia troppo anche se non sono io.

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Monolocale

L’ultima volta che ho pulito le finestre di casa mia, ho buttato una marea di post-it che di solito attacco sui vetri. Ecco, devo aver buttato via anche quelli sui quali avevo scritto le mie credenziali del sito e di altri sei o sette siti e applicazioni, tipo quella per farmi portare cibo a domicilio o la bellissima password dell’INPS con simboli e numeri.
Ora giuro, imparo tutto a memoria. Non si può neanche stare tranquilli con se stessi, quando si vive da soli.

“Persone che non fanno niente”

è il titolo del micro-racconto che esce oggi per “A4” e occupa due facciate su due di spazio disponibile. Il sottotitolo è scontato, forse anche la trama. A pensarci perfino il tratto mi sembra scontato.
In fin dei conti non costa nulla nemmeno la rivista, quindi la potete leggere e scaricare cliccando qui (e dare un’occhiata ai precedenti numeri, che sono brevi e succulenti, tutti rigorosamente piazzati su un foglio A4)!

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Pinocchio

Comunque oggi su Radio Techete’ c’era Rodolfo Sonego che in un programma che si chiama “Come ridevano” parlava di Pinocchio e in generale dei libri-capolavoro e ad un certo punto mi ha chiesto (giuro, sembrava rivolto a me, ma sicuro mi sbaglio, sono manie di protagonismo radiofonico, le mie) «E tu l’hai letta Anna Karenina, tu che aggrotti la fronte e metti le dita sotto il mento ogni volta che ti ritrovi un classico davanti. Mica l’hai letta, eh. Scommetto che non hai letto nemmeno Pinocchio, che se tu l’avessi letto, Pinocchio, ora avresti già scritto un romanzo e invece niente, non l’hai scritto.»

Educazione morbida

Ogni volta che torno in paese tutto è un po’ più offuscato. Sciacquo i bicchieri perfino dopo che qualcuno li ha già lavati, tolgo la polvere dove poco prima qualcuno ha passato gli Swiffer monouso.
Che poi, dico, io a casa mia, quando non ho voglia di tirare fuori il mocio Vileda uso i tovaglioli, non so se è normale, forse no però lo faccio. Invece di spendere cinque euro per della cellulosa pettinata e arricciata da passare sugli stipiti, non so, preferisco i tovaglioli, o se proprio non ci sono, la carta igienica.
Comunque mi sono persa. Eppure mi sembrava di essere partita bene con la nostalgia, l’offuscamento.
Insomma, sono nel mezzo del Friuli, non c’è niente (e il niente in Friuli comprende i campi, canali d’acqua spesso vuoti e qualche trattore), nemmeno un gregge di pecore. Qui dovrò passare altri dieci giorni, un po’ per scelta e un po’ per sfinimento. È Roma che mi ha sfinita e io vorrei soltanto passare più tempo possibile fuori, magari nei campi a raccogliere radicchio, ce ne fosse.
Continuo a ripetermi Febbraio è breve, più breve, mentre aspetto la primavera avvolgendomi in doppie sciarpe e disegnando con i guanti, anche negli autobus notturni. Soltanto che questa fretta di passare da una stagione all’altra non mi sembra nemmeno tanto sana.
Le giornate passano veloci e il giorno dopo è uguale al giorno prima, eppure sul desktop c’è sempre un file nuovo in più e sul comodino il segnalibro avanza tra le pagine. Ho smesso di scrivere l’anno scorso, sì, ma a dicembre mi sono comprata un calendario, di quelli che stacchi i giorni uno ad uno, così a gennaio ho raccolto trentuno foglietti pieni di parole e ora mi obbligo con sadico piacere a scrivere qualcosa, qualsiasi cosa, prima di dormire. Non so se aiuta, ma di certo ho smesso di guardare il soffitto, crollo tra le coperte con Gea che rosicchia qualche cappuccio di biro.


Le dita di mia nonna stringono il manico della caffettiera, l’insalata cresce nell’orto anche a gennaio e si può tenere acceso il riscaldamento anche tutto il giorno, nessuno mi dirà mai nulla, sono in famiglia,
non fare la vittima mi dice mamma mentre serve in tavola una cena che non mangerà. L’affitto te lo paghi a Roma, mica qui, mangia.
Sbuccio un’arancia, salgo al terzo piano, la nostra casa è di tre piani e il terzo è il mio, o perlomeno ci vado soltanto io lì, quando torno.
Accendo il Macbook, mi siedo sulla stessa sedia imbottita che avevo a quattordici anni e inizio a fare quello che faccio a ventisette, disegno.
Le immagini compaiono nitide e le imprimo sullo schermo facendo finta di avere in mano pennelli, pantoni, acquerelli. Ho imparato a usare la tavoletta grafica e sulla scrivania non ci sono più trucioli di matita, non è triste, è pulito. Non mi passano nemmeno di mente i tovaglioli.

Non mi manca niente, mi dico, forse un po’ di dignità e -per fare la modesta- di ingenuità, qualche libro sugli scaffali, ma so che li ho portati a Roma con me, cinque anni fa. Lì stanno, magari quelli letti, piano piano, li rispedisco qui? Ci penso.
Mi sto educando a non rimanerci male se torno qui e gli alberi non sono gli stessi e le prospettive con case e strade nemmeno. Cresco e sembra non accadere nulla, ma c’è una fatica sottile, quella di rimanere nelle idee del corpo che cambia e contemporaneamente di restare coerente con quello che ho intorno.
Questa volta è gennaio, la prossima sarà maggio, magari giugno. Forse gli alberi li taglieranno al prossimo arrivo, giusto per cambiare qualcosa. In pianura tagliano tutto prima o poi, che sembra non esserci mai abbastanza spazio con tutto quell’affollamento di distanza, tra un paese e l’altro.

[#ConsigliamiQualcosa] La gallina volante / Paola Mastrocola

Non sono l’unica ad averla chiamata Mastròccola e non Mastrocòla. Servono gli accenti a quelli sbadati come me, per esempio, quelli che vengono da una formazione mica tanto classica, mica tanto umanistica (e mica tanto formata, come formazione, a quanto pare).
Qualche giorno fa ho ripreso a camminare su due gambe, senza per forza fermarmi in preda agli attacchi di tosse, piegandomi in due o appoggiandomi a qualsiasi cosa mi si trovasse accanto. L’influenza a dicembre mi ha divorata e io ho divorato almeno dieci chili di agrumi nel giro di pochi giorni, quindi ora siamo pari, sto bene.
Mangio e sento i sapori, pensavo di aver perso altre diottrie per la febbre alta, qualcuno mi ha detto che a volte succede di avere la sensazione di sentirsi sciogliere gli occhi quando si sfiorano i 40 gradi per più giorni di seguito, invece ora tutto bene, davvero. Ho ripreso a leggere e disegnare non mi fa più lacrimare.

Dicevo, la Mastrocola. Con l’accendo sulla seconda o. Di lei oggi mi sono venuti in mente i libri che alle medie ci dicevano di leggere durante le vacanze estive. Tre estati di seguito. Non si sa che libri siano, non vi diamo nemmeno i titoli, però leggeteli.

Ricordo che negli elenchi dei libri fotocopiati e appesi all’armadio accanto la lavagna c’era sempre un Italo Calvino, Roald Dahl e questa Paola Mastrocola che puntualmente veniva sempre scartata da chiunque, perchè sconosciuta e pure introvabile. A dodici anni ci struggevamo sulle città invisibili non capendo di che città ci stesse parlando Italo, facevamo a botte per l’unica copia della fabbrica di cioccolato nella biblioteca di paese, ma della Mastrocola sapevamo soltanto che si chiamava Paola, che faceva l’insegnante in un’altra scuola e che era un’amica della professoressa di Italiano. Forse per questo andava letta, ci dicevamo. Forse era un favore che la nostra professoressa le stava facendo, pensavamo, spargendo i titoli dei suoi libri, tra l’altro introvabili alla biblioteca comunale, e qualcuno aveva perfino detto che la Mastrocola, nel suo universo scolastico parallelo, nella sua scuola cioè, aveva inserito nell’elenco dei libri consigliati per le vacanze i libri scritti dalla nostra professoressa italiano (libri segretissimi che ovviamente gli allievi della Mastrocola faticavano, come noi, a trovare. Anzi non li trovavano proprio visto che nemmeno esistevano).
Ma allora come si poteva fare? ci chiedevamo gli ultimi giorni di maggio. Compariva negli elenchi dei compiti delle vacanze, anche se senza alcun titolo di riferimento, soltanto “P. Mastrocola”, e noi rassegnati nella ricerca a vuoto, ad un certo punto dell’estate, ordinavamo la nostra copia di Calvino-versione-scolastica nella cartoleria in piazza e tornavamo a mangiare le mele acerbe nei campi. Barone rampante al primo anno, Visconte dimezzato al secondo, al terzo c’era addirittura la scelta: città invisibili vs i sentieri dei nidi di ragno. Ci bastava così, le vacanze sembravano comunque troppo brevi per metterci a fare gli investigatori letterari e Wikipedia non esisteva nei nostri microuniversi da microstudenti. Insomma, ci è toccato leggere tutto Calvino, sotto o sopra i meli, e poi farne pure il riassunto, estate dopo estate, zitto e mosca. 

Peccato che Paola Mastrocola non si sia mai trovata da nessuna parte. O almeno, una copia qualcuno deve anche averla acquistata in città, sempre al tempo delle medie, ma per qualche motivo nessuno ha mai portato La gallina volante o Palline di pane, in classe a fine vacanze. Solo sentieri, solo nidi, solo visconti. Potessi tornare indietro nel tempo ne comprerei una decina di copie e le lascerei nell’armadio, quello vicino la lavagna.

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Seduta nel bar-libreria sotto casa, qui a Roma, chiudo la mia copia della Gallina volante e la poso sul tavolino. Ci ho messo troppo tempo a leggerla, tra l’influenza di dicembre e il lavoro arretrato che mi sta occupando gran parte della giornata. La libraia mi porta un caffè e mi consiglia un giallo acchiappando un libro dallo scaffale. Lo so che mi ha vista arrivare all’ultima pagina e ha colto l’occasione per passarmi una nuova lettura. Libraia furba, forse non sono pronta, con tutto l’affetto. Comunque lo apro, primo paragrafo, ci sono troppe carotidi tagliate, troppi punti e troppi pochi a capo. Non so se sono pronta dopo la Mastrocola a sapere quanta potenza ci voglia per tagliare in due una trachea con un coltello da cucina, cara libraia. Però prometto che torno e lo prendo questo giallo, magari in primavera, tempo di riprendermi dalla nostalgia.  

La mia copia della Gallina volante ha gli angoli arrotondati, per quante volte l’ho infilata nella tasca del cappotto a dicembre. La storia è quella di Carla, un’insegnante piena di inventiva alle prese con la quotidianità scolastica: gli allievi, i genitori degli allievi, un’alleva più allieva (e quindi più speciale) degli altri, poi a seguire tutto il pacchetto della sua famiglia e le sue galline. Ventiquattro per la precisione. Galline che Carla cercherà di far volare almeno una volta ogni dieci pagine. Ti fa venire voglia di avere a che fare con le persone, Carla. Dico, Paola, la Mastrocola, con l’accento sulla seconda o. Perchè è evidente che la storia è una bellissima autobiografia immaginaria. E poi, dopo averci avuto a che fare ti fa pure venie voglia di non averci più a che fare, con le persone, magari facciamo che le ascolto un po’ e basta.

Non è il suo primo libro che leggo negli ultimi dieci anni. Paline di pane è stato il mio preferito e Una barca nel bosco mi è piaciuto così tanto che ricordo di averlo letto io stessa ai ragazzi, un capitolo al giorno, al Club di lettura del centro estivo. Tutti pubblicati con Guanda, tutti quasi introvabili subito nelle librerie, sì, anche tuttora nel 2019. Dovrei andare a dare una controllata al sito della Guanda, che forse sono fatti così loro, che non si fanno trovare. Magari gli piace lo spirito della reperibilità, quello di una volta, magari hanno perfino assunto qualcuno che fa solo questo: si rende reperibile e disponibile per mandare i propri libri solo a quelli che li richiedono.
Lo so che potenzialmente potrei ordinare quello che voglio su Amazon, è che tuttora preferisco comprare i libri nelle librerie di fiducia, è la mia personale raccolta differenziata consapevole, la chiamo così. Però non so, magari dovrei adattarmi, davvero, e smetterla con sta minestra fatta di malinconia e nostalgia sopracitata. 

Stavo per regalarla, la mia copia della gallina volante oggi. Mi succede spesso di regalare libri, sarà che ne sento il peso in casa, accumulati e stipati ovunque, anche in cucina. Tutti letti, tutti che fanno bella mostra delle loro costine colorate da qualsiasi ripiano. Mi innervosiscono, perchè so che la maggior parte di loro io nemmeno li riaprirò più. Ho provato a ribellarmi con gli ebook, zero spazio occupato, stesso risultato, però una tristezza quando vuoi tornare indietro a rileggere qualcosa a suon di clic clic sul kindle, o peggio ancora sulla tastiera del pc, clac clac. Non so, mi confonde avere gli aggetti e ahimè i libri sono oggetti, sono una responsabilità gli scatoloni durante i traslochi, una responsabilità faticosissima. Mi ribello e vado in biblioteca, mi dico, poi puntualmente « ti ho preso un libro, so che ti piacciono». Sì, molto, grazie. E passiamo la notte insieme, io e il libro. 
A volte ci penso e giungo alla conclusione che preferirei non avere niente di mio, niente cose, forse per questo me ne sto in affitto da anni.

Insomma, stavo per regalarla la Mastrocola, ma mi è venuta in mente questa storia dei tre anni di liste-libri-consigliati-per-le-vacanze e non ce l’ho fatta. Ho riportato a casa La gallina volante dopo un altro caffè preso con un’amica che non vedevo da almeno dieci anni. 
Vuole fare l’insegnante di italiano, mi racconta prendendo in mano il libro dalle pagine arrotondate.
«L’ho letto alle medie», mi dice «l’abbiamo letto tutti, no?».

Piccolo appunto letteraturo-grafico

su sedia

«Togliere la polvere dall’orologio. I vostri orologi sono indietro coi tempi. Spalancate le pesanti tende che vi sono così care – non avete nemmeno il sospetto che fuori sia già spuntato il giorno.»

11 Dicembre 1918 / Nasce Aleksandr Isaevic Solzhenitsyn [Алекса́ндр Иса́евич Солжени́цын], storico e scrittore russo, Premio Nobel per la letteratura 1970, esiliato dall’Unione Sovietica, ha fatto conoscere la realtà dei Gulag attraverso i suoi scritti.

(Chiudo un occhio per la sua presa di posizione -nei suoi ultimi anni di vita- a favore della reintroduzione della pena di morte in Russia, per fortuna non approvata. Vai a capire cosa passa per la testa, prima di morire, agli attivisti sovietici nati nei primi del novecento.)