Per la prima volta il primo gennaio mi sembra davvero l’inizio di un anno nuovo. Eccolo qua il giorno in cui voltiamo pagina dopo un anno di preoccupazioni, sonno perso, corsie di ospedale, poltrone scomode, letti scomodi, posture scomode, parole scomode. E stanchezza, tantissima, arrivata al limite (ma sono ancora qui, quindi a quanto pare il limite non l’abbiamo superato). Scrivo al plurale, perché altrimenti non potrei fare, azzarderei a dire che è così da 15 mesi.
Mia figlia dorme a nemmeno dieci centimetri da me, sento il suo fiato tiepido sul mio orecchio, una manina a stringere un lobo. Sono le sette di mattina e questa è LA notte più tranquilla delle ultime 365.
Se dovessi metterle su grafico di merito, tutte quelle notti, sicuramente questa sarebbe l’unica segnata in verde: un valore positivo, senza asterischi, senza clausole.
Rilasciate dall’ospedale ieri, dopo l’esecuzione dell’unico intervento operatorio possibile, studiato e cucito sul suo caso. Prepotenti e assetate di casa, siamo tornate nei nostri 70 metri quadri provvisori, a volte divisi per tre e altre per due.
Gli emangiomi sono ereditari? Mi dico che forse non c’è da dare tutta sta colpa al suo essere congenito, nel caso di Agata. Io ho una macchia violacea enorme sulla gamba sinistra, ce l’ho dalla nascita, è sempre stata lì, mai toccata né studiata da nessuno, se non dalla schiera di compagni di classe delle medie, nel corso degli anni, quando arrivava il tempo dei pantaloncini.
Mi dico -e quasi me ne convinco- che se fosse ereditaria, questa proliferazione dei vasi sanguigni che ad un certo punto decide di proliferare su qualsiasi tessuto o organo del corpo umano, io me ne assumerei tutta la responsabilità, e sarei tranquilla come lo è qualcuno che sa di aver commesso un delitto colposo, involontario, ammazzando la normalità.
Ovvero non sarei per niente tranquilla, ma me ne assumerei la responsabilità e tutto sarebbe più digeribile. Invece l’etichetta è proprio “congenito“: il Fegato che Agata si è ritrovata è occupato per gran parte da una matassa-gomitolo-varicosa misteriosa e l’unico modo per sbrogliarla è tirando di qua e di là. Anatomicamente parlando: tappandone gli ingressi, occludendo i vasi sanguigni che la alimentano. Roba che a pensarci mi verrebbe da abbracciare ogni medico che incontro.
Sono felice, ci faccio caso e tiro un sospiro. Scivolo dal letto senza fare rumore, mi infilo nelle calze, nei pantaloni, in una maglietta e nel maglione blu che ha visto tempi ancora più belli, quelli marittimi, quelli metropolitani, tempi fatti di musica e di “tieni il mio maglione che fuori si gela”. Ma non me ne faccio nulla delle metropolitane ora, mi basta metà matassa sbrigliata, un foglio A4 con sei parole: Ridotta La Splenomegalia, No Versamento Addominale.
Tutto bene, Agata, dai che ne usciamo da sto gomitolo.
