Ma se per esempio

Una volta parlavo e ascoltavo parlare per la maggior parte della mia giornata. Sempre preferito ascoltare, comunque. Era la fine del 2019 e lavoravo in un grande teatro di Roma, la sera prendevo la metro, poi un bus, poi un altro bus e alla fine attraversavo un ponte chiamato Ponte della Musica, le strisce pedonali e entravo nel retro del teatro. Lì parlavano tutti prima dello spettacolo, soprattutto gli spettatori, e io che dovevo guidare quello con il biglietto “fila D Posto 15” al posto 15 sulla fila D per esempio, avevo tutto il tempo per fare scorta di chiacchiere altrui, totalmente disinteressate a me, sature di giornate borghesi, pulite, profumate di colonia, di lacca, di muschio bianco e pacchetti patatine già aperti e nascosti nelle borse. Avanti il prossimo, fila N posto 9, qui a sinistra prego, signorina ha un sorriso splendido, grazie, è il rossetto che ci obbligano morbidamente a mettere per essere splendidi qui, a teatro, per guidarla sulla sua poltroncina morbidissima.

Insomma nel 2019 non si stava male, che i sorrisi almeno si vedevano, gli aliti si sentivano e si sopportavano. Si leggeva sulle panchine, nelle biblioteche, sulle metro, invece di concentrarsi su come respirare meglio l’anidride carbonica dentro la mascherina. Mi chiedo in questi giorni, settimane, anzi facciamo mesi, se pure io stavo meglio nel 2019, a questo punto. Che non bastava mai la spesa fino a fine settimana, ma si facevano gli straordinari volentieri e a volte scappava pure qualche gita fuori Roma, io e il cane o io e basta. Ogni giorno qualcosa di inaspettato sarebbe accaduto al mattino, bastava bere il caffè e uscire in città.

Ma se per esempio io ora provassi a immaginare me a novembre, il novembre che verrà, con le gite e gli straordinari, le sorprese inattese e la spesa da portare in casa per me e il cane, a me proprio non mi riesce. Vedo il futuro fino a settembre, addirittura so benissimo cosa farò la prossima settimana, giorno per giorno, ma a novembre ho la sensazione che tornerò un po’ come nel 2019, che mica si sapeva che dopo il 2019 sarebbe arrivato il 2020.

Geco su Teflon antiaderente

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Piove da settimane, con brevi interruzioni pomeridiane, non ricordo più come si annaffiano i fiori in balcone. Sembra che questa parte d’Italia si sia scordata che a maggio non è autunno, forse sta facendo la scorta di acqua per l’estate.
In questi giorni sto seguendo un piccolo gruppo di illustrazione: tre bambini e tre mamme che temperano le matite colorate dei rispettivi figli, più io che raccolgo i trucioli che le mamme fanno cadere con i gomiti. I bambini disegnano nuvole, trattori e ricci, scriviamo storie dove i ricci si nascondono nei raggi delle ruote dei trattori e “le nuvole sono blu o verdi, perché riflettono la terra e il mare”, guardiamo fuori dalla finestra dell’aula affittata a dieci euro l’ora nei pressi della Laurentina.

Ho trovato un tondo di muffa verde sul soffitto in bagno, dietro la cassetta di scarico dell’acqua. Mai visto niente del genere, quasi una giungla in miniatura, con tanto di pallini gialli, tipo bulbi di tulipano. Roba piccola, metà palmo di diametro.
L’ho lasciata lì, sperando di vederla sfiorire con l’arrivo del bel tempo, non mi attirava l’idea di andare a interferire con l’ecosistema che si era creato, quando abiti da solo puoi anche fare finta di niente per un po’.
Così sono passati tre giorni, forse quattro, ieri poi, facendo la doccia, ho visto un geco a pochi centimetri  dalla muffa, non capisco come ci sia entrato in bagno, so che non amano molto l’umidità, così mentre mi insaponavo i capelli lo guardavo e pensavo a tutte le zanzare che sarebbero nate a giugno, dopo tutta la pioggia di aprile e maggio.
I gechi vanno matti per le zanzare e i ragnetti, poi questo era proprio magrolino, gli serviva un pasto abbondante.
Erano quasi dello stesso colore, il geco e la muffa, ma il geco aveva un’aria molto autoritaria, sicuramente più della muffa, attaccato alle piastrelle con una stabilità da fare invidia ai quadri appesi in casa. Non l’avrei cacciato, mi piacciono le zampe che ha, e mi sono ricordata che una volta, in seconda elementare, la maestra di matematica mi ha detto che i gechi camminano su tutto anche a testa in giù, tranne che sulle pentole antiaderenti perché sono di un materiale che si chiama Teflon, e io la settimana dopo, in una verifica di scienze, sotto la domanda “dove non funziona la gravità?” ho disegnato dei pianeti e una padella con un geco dentro.

Un velocissimo battito di palpebre inverso, dal basso verso l’alto, l’ho visto estrarre la lingua e passarla sopra quella sostanza lichenosa.
Ho spento l’acqua, agitato le tende, lui non si è mosso. Allora ho preso un’infradito e, allungando il braccio, avvicinata per provare a spostare il geco senza fargli male. Non penso quella muffa faccia bene, meglio le zanzare, poi magari con i tre bambini ci scriviamo una storia su di te.
Lui ha girato la testa dall’altra parte, verso la cassetta per lo scarico, ha staccato una zampa dal soffitto e si è lasciato cadere ai miei piedi, quasi rimbalzando sull’altra infradito rimasta a terra. Poi attraversando la doccia in diagonale è risalito sulle piastrelle e scrollandosi di dosso qualche goccia d’acqua, ha riconquistato il suo posto accanto alla muffa. Non si è più mosso. Sono entrata poco fa in bagno, è ancora lì.

 

Biete

37. L’ anno scorso, in questa stagione, tornavo a casa con i porri un giorno sì e uno no, che qualcuno mi ha detto Mangiali, fanno bene più delle cipolle, e io che non ho alcun tipo di simpatia o antipatia né per cipolle né per porri, quella cosa del Fanno bene non so perché mi è rimasta impressa. Poi ogni volta che mi ritrovavo a passare di fronte a montagne di frutta o verdura davanti ai fruttaroli, non potevo evitare di controllare se c’erano i porri. Un porro costa quaranta centesimi, a volte quarantacinque, sbucava dalla borsa a tracolla rifiutandosi di stare composto da un lato, nel tragitto sul viale urtava semafori, persone. Negli ultimi cento metri, prima di entrare nel cortile, rinunciavo alla sua cattività e lo liberavo tenendolo in mano come testimone.
Adesso invece non metto più la tracolla, ho uno zaino nero con le cerniere lucide che si chiudono sia da una parte che dall’altra, a scelta. I porri non ci starebbero, se non piegati, ma poi comunque sarebbe un peccato alterare la forma solenne che hanno. Ad ogni modo quest’anno mi è riaccaduto, soltanto con le biete, che sono a foglia larga tipo gli spinaci, costano un po’ più dei porri però, ma anche a schiacciarle nello zaino nel loro sacchetto, tra il computer e i libri, poi escono e si spiegano meglio loro di qualsiasi altro porro a pranzo.

Decimo giorno di dopolavoro (con invito)

Che dopolavoro? Di che sto parlando? Clic qui.

Sono ancora qui?
Dieci giorni che parlo di cose che accadono attorno, ancora trenta e potrebbe sembrare a tutti gli effetti una quarantena, con tutta la febbre e la tosse e raffreddore in allegato.
Domani la volete vedere una persona sana, ma sana per davvero? Una che non starnutisce più né guarda con occhi lucidi chiunque? Non so, se siete a Roma mi trovate in via dei Coronari dalle 17 fino a chissà che ora, per un evento con tarallucci e vino. Non si paga, al massimo si chiacchiera con me o i mei colleghi. Non so se è allettante come l’ho buttata giù, ad ogni modo ora lo sapete.

Per qualsiasi informazione sui tarallucci e vino:    oceanoindiscesa@gmail.com
per le cose più importanti:    oceanoinsalita@gmail.com

Nicolino Pompa e la mia cena

Sul lungotevere, subito dopo cena, ho conosciuto e mi ha conosciuta Nicolino Pompa. Poi a casa gli ho mandato un messaggio, che sembra gli piacciano. Prima mi ha rilasciato senza apparente motivo uno scapellotto sulla nuca, un male che mi veniva da insultare in russo, ma solo per un attimo e poi basta. Poi, dopo avermi scritto una sua poesia su un quaderno che avevo in borsa, mi ha chiesto di dargli una moneta e un bacio, ho esitato un po’ ma poi giuro, la sua barba mica puzzava di fumo e la sua pelle sulla guancia era coperta proprio da quella barba che non puzzava di fumo, quindi poche storie e meno corsivo, che la cultura ammazza la poesia.

 

 

Più Libri Più Liberi (Giorgio Agamben)

Dal 4 all’8 dicembre il Palazzo dei Congressi all’Eur ospita la quattordicesima edizione di Più Libri Più Liberi, nonché la fiera nazionale della piccola e media editoria organizzata dall’Associazione Italiana editori.

Ho avuto modo di fare una passeggiata tra gli stand alla fine del 2013, ma ricordo ben poco. Più che una vetrina per gli editori mi era sembrata un acquario, senz’acqua e aria, per noi visitatoti. 
Quest’anno, ad ogni modo, mi sono organizzata in anticipo. Ho richiesto l’accredito da libraia, questo significa che fino a martedì non ci saranno altro che colazioni in casa, libri, pranzi all’Eur, autori e ancora libri, cene in metro, libri in tram e così via a ruota. Ma va bene, va benissimo. 
Mi sono persa il primo giorno, ieri però sono entrata a mezzogiorno, puntuale per assistere involontariamente, alle ultime parole di Massimo Tognoli. Ora, vorrei sbagliarmi e premetto, ero appena arrivata, ma a me è sembrato che il tema politica aleggiasse anche nell’aria (e area) dedicata agli stand della letteratura per ragazzi.

Ho aspettato un po’, il caldo era insopportabile, sembrava agosto e sarebbe bastato venire in maniche corte sotto il cappotto, ma la gente si irritava parchè non poteva dirigersi dove voleva, ovvero verso l’uscita, quindi passando sui piedi di altra gente. 
Comunque non voglio scrivere altro sull’organizzazione, che non è di mia competenza il tema, mi sarebbe bastato trovare un posto in piedi in qualche sala, che me ne frega di stare seduta, ho pensato, che sono qui per ascoltare, mica per sedermi. Manteniamo il buon umore, sù. 
Poco dopo mi sono ritrovata alla presentazione dell’ultimo libro di Giorgio Agamben, Pulcinella ovvero Divertimento per li regazzi. Sapevo che sarebbe intervenuto Goffredo Fofi, mi aspettavo contraddizioni su contraddizioni tra un filosofo contemporaneo e un uomo contemporaneo, praticamente da sempre (poi, si sa, ad arricciare le cose sono bravi tutti, figuriamoci chi parla di metafore per professione oltre che per vocazione). E invece.

Agamben racconta la figura di Pulcinella, come maschera, come uno di noi, “l’emblema di un mondo che cambia e la presenza costante e volgare del corpo, a testimoniare la propria appartenenza al genere umano”, più o meno questo. Parla di catastrofi, della disciplinata goffaggine degli attori comici che a differenza dei loro colleghi tragici, si tengono quasi a distanza dalla realtà. E mi affascina, ma sto quasi per cedere, perché Agamben parla in modo circolare, inserendo sempre qualcosa di nuovo, un dettaglio in più, ma pur sempre in tondo. Ad un certo punto si ferma e dice «ma che altro potrei aggiungere?», fa un gesto stizzito al fotografo, che non smette di immortalarlo in ogni primo piano possibile, e riprende a parlare.

C’è una cosa che però mi rimane impressa (continuerà a girarmi i testa per tutta la giornata) ed é quando Goffredo Fofi dice la sua a proposito del sapere, della pappa pronta che é la letteratura. Alla fine cita Vitaliano Brancati, che é uno scrittore nato nei primi del 900: «il compito della politica é di occuparsi dei derelitti, quello della cultura è occuparsi degli stupidi». Ecco che allora, mi viene voglia di alzarmi e andare via, ma sto al gioco della mia ignoranza. Mi alzo lo stesso, ma alla fine dell’incontro, e vado a vedere cosa hanno da dire nelle altre sale.

[Continua]

Oggi

Dal Palazzo dei Congressi, all’Eur, si vede una grande pista ghiacciata di pattinaggio, ma sembra marzo, o aprile, siamo tutti in maniche corte qui fuori e stanno mandando via i bambini, perché il ghiaccio si sta sciogliendo. Al telefono mia mamma é stizzita, non vuole sentir parlare di caldo, al nord ci sono quattro gradi, se va bene.

Into the budget

Attualmente il mio budget non include piante ornamentali, o da compagnia che siano. Il mio budget include cose da mangiare, tè, caffè a volte, detersivo, almeno due tipi di carta diversa per la casa, saponi. E mi do un limite contenitivo. Nel senso che il limite include alcune cose, per esempio libri e matite. Il mio budget comprende anche vari extra, tipo degli imprevisti, come stivali per la pioggia, ombrelli, calzini. Per il resto ho tutto, non mi serve niente. Mi manca solo una pianta in camera, mi piacerebbe tanto, ma ora come ora proprio devo farne a meno. I cactus no poi, basta cactus. Però le patate quelle sono incluse nel budget, ne ho immerse due, in due bicchieri pieni d’acqua. Per Natale avrò una doppia pianta di patate, nel frattempo mi tengono compagnia i tuberi che intravedo attraverso il vetro.

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In vetrina

Sto progettando la parte esterna di un libro. Non la sua copertina, ma quel pezzo di carta che la avvolge con due fasce laterali, i quarti di copertina. Si chiama sovraccoperta, e al telefono, mentre spiegavo la mia idea, non mi veniva in mente come si chiamasse. L’autore continuava a chiamarla copertina due o doppietta o foglio con le alette.
Poi sono uscita, fa caldo a Roma, ma mi serviva un copri-piumino per il piumino che avrei usato forse il mese dopo, sia mai torni l’autunno.  Allora davanti ad una vetrina ho visto questo enorme lenzuolo blu e bianco, che in realtà era proprio un copri-piumino, e sull’etichetta accanto al prezzo c’era scritto:
Sovracoperta / 100% cotone, solo 2% poliestere.
Avrei tanto voluto comprarlo (si trova alla fine della Nomentana, nel caso), ma costava come due abbonamenti mensili e pure più del piumino che ho già, a dirla tutta. Comunque è lì che mi sono ricordata che il pezzo di carta che avvolge il libro con le sue alette, si chiama Sovraccoperta, con due c però.  Ho controllato.

Ascoltare le colonne

Oggi che era una bella giornata di sole ero proprio contenta che fosse Dicembre. Ho pensato non sarebbe stato male avere anche un Gennaio così, tutto di sole, e pure un Febbraio. Che poi Marzo fa da se e si arrangia.
Era una bella giornata, dicevo fin da mezzogiorno, quando mi sono alzata. Ho controllato se i panni stesi in sala fossero asciutti e non erano asciutti, ma in frigo c’era ancora un vasto assortimento di fette di torte avanzate ieri dalla presentazione del libro, nella libreria. Quando sono entrata a salutare i proprietari, sembrava avessero già preparato una borsa con tanto di bottiglia di coca cola. In frigo comunque occupano tutta una mensola, le fette, tanto che non c’è spazio ne per il sacchetto di carote ne per quello di cipolle.
In camera ho controllato che il pc stesse scaricando quell’album di Nils Frahm che a me piace tanto, ma proprio non ne voleva sapere di salvarsi. Si bloccava al 71 percento e niente. L’ho messo in streaming e ho pensato che non serve a nulla un mp3, di questi tempi. Tanto c’è internet, tanto c’abbiamo i giggabbait.

Avevo anche un appuntamento a San Pietro con un ragazzo scozzese che ho conosciuto scendendo a Roma, due settimane fa. Lui voleva vedere la Cappella Sistina, io, erano almeno cinque anni che non vedevo nemmeno le mura del Vaticano. Quindi dopo un’ora di fila in cui mi ha raccontato del suo viaggio attorno al mondo, ma l’Australia no, quella non gli piaceva e non ci pensava nemmeno a metterci piede, ecco dopo quell’ora a me è sembrato di conoscere proprio bene il colonnato in travertino con le sue duecentottantaquattro colonne doriche e un’ottantina di pilastri. Mi è parso proprio di aver sottovalutato il pensiero avuto qualche giorno fa di fronte a tutto questo marmo. Ad un certo punto guardavo lui, il ragazzo scozzese, e ascoltavo le colonne.
Dentro i Musei Vaticani ci siamo perfino persi. Lui voleva vedere la Cappella Sistina, io mi ero fermata davanti ad un Chagall e un’altro che aveva cercato di imitare Klee, ma mica era bravo come Klee, e sinceramente non so proprio che ci faccia ai Musei Vaticani uno che fa le cose come un altro.
Poi uno di quei uomini-guardie vestiti a puntino e piazzati negli angoli di ogni sala, mi ha preso in giro sul mio accento nordico quando gli ho chiesto se stavano chiudendo. Ha continuato a ridacchiare per un po’ alla fine mi sono stufata e me ne sono andata con lui che diceva che l’arte moderna no, non l’avevano di certo inventata per lui.

Mi intenerisco

Ci sono appartamenti che si comportano da case. Quasi ci fosse bisogno di dimostrare di essere domestici.
In alcune camere da letto le sedie prendono vita sotto strati di vestiti, i divani diventano tavolini da tè e i tavolini poggiapiedi nell’ora della merenda. A volte il pavimento è parquet, a volte di piastrelle e altre di moquette. Non so se il fatto di essere stata ospitata un maggior numero di volte rispetto dell’aver ospitato mi renda una persona peggiore, o almeno meno altruista. Un po’ sì direi. Ma poi esco a fare la spesa per il frigo, che non è il mio, e non conosco nemmeno come e se funziona la lavatrice, lì accanto. Mi intenerisco di fronte ai pomelli dei rubinetti nel bagno, che girano nel verso opposto a quelli della casa precedenti. Son cose belle queste, un po’ come conoscere una persona e scoprire che è brava non solo a parlare, ma pure ad ascoltare. A me le case degli altri piacciono.
La mensola della cucina non l’aprire del tutto che casca, va bene. I coperchi delle pentole sono qui. Qual è il ripiano del frigo che posso occupare parzialmente? Hai lo shampoo o ti presto il mio?
Son mesi che non capisco perchè, ma io non è che ho tutta questa stabilità residenziale. Il lavoro chiama e io parto. Per esempio a Gennaio, quando mi sono trasferita a Roma, fino a Giugno bene o male, ero divisa tra l’est e l’ovest della capitale. Poi le cose sono degenerate, intendo dopo essere partita e ritornata di nuovo a Roma in autunno. Non avevo più il mio affitto, non si trovava nemmeno una stanza ad Anagnina, a Ottobre così su due piedi.
Per fortuna molti amici sono stati disponibili e disposti a farmi vedere come funziona la loro di caldaia in appartamento, ad avvertirmi che l’acqua calda finisce se sto troppo sotto la doccia.