Oggi è passata qui davanti una coppia di signore, una diceva all’altra “Libere libere, bisogna essere libere! Basta svirgolamenti.” Poco più tardi un signore é entrato solo di busto in libreria chiedendo notizie di Seneca. Ha detto proprio “Salve, ha notizie di Seneca?”. Poi ho fatto i conti delle spese della libreria, é venuta fuori una cifra assurda facendo la sottrazione tra l’incasso in cassa e le spese segnate. Per fortuna dopo un po’ mi sono ricordata di non aver incluso nel calcolo dei guadagni tutte le transazioni bancomat e carta, il POS insomma l’avevo dimenticato di aggiungere. In quanto denaro non liquido, l’ho sempre segnato a parte nel registro. Quindi alla fine i conti sono tornati tutti, le spese risultavano proporzionate all’incasso, che era più che buono per la stagione, ma mi sono resa conto che c’era un qualcosa di contraddittorio nel chiamare i soldi che ti passano fisicamente in mano “contanti” o “liquidi”. Un ossimoro bello e buono.
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Tre cose
Tre cose degne di nota, prima di pranzo:
(in ordine)
– Poco prima di aprire la libreria sono entrata nel bar per fare colazione, perchè ho quest’abitudine che il sabato e il lunedì faccio colazione fuori. Ho chiesto il caffè macchiato e indicato una pasta al cioccolato in vetrina, allora la ragazza al banco mi ha domandato Basta così?
e io ho risposto Un goccio d’acqua grazie, anche se so che qui tutto si paga, anche l’acqua al banco, visto che dai rubinetti non è potabile. Mentre cercavo i due euro in borsa mi sono accorta che sul banco davanti a me era comparso un caffè macchiato, una pasta al cioccolato e un bicchiere, di quelli da spremuta, alti. Vuoto per metà. No, anzi, pieno un quarto.
Ne sono certa, erano proprio due dita di acqua, insomma un goccio.
– Uscendo da questo bar poi, sulla porta, ho incrociato una conoscente che entrando tutta contenta e rivolgendosi un po’ a me e un po’ a chi era seduto ai tavolini, saranno stati in quattro del paese a bere caffè e leggere il Tirreno, insomma, questa conoscente ha spalancato le braccia e ha detto Tutti per fare a colazione, qui, siete?
e a me è venuto da pensare che se si poteva esserci per fare a colazione, si riusciva sicuramente anche a fare a pranzo o addirittura fare a merenda, tutti insieme. Un po’ come fare a botte o fare a rate. Chissà se si può anche fare a lavoro, mi son chiesta mentre mi incamminavo verso la libreria.
– La terza cosa da annotare è l’arrivo del caldo che tutti lo aspettavano ed eccolo qua. Un’afa eccezionale, anzi d’eccezione, quelle che non fanno dormire nemmeno con le finestre spalancate e in libreria senza l’aria condizionata si muore pian piano, per evaporazione .
Qui in negozio tutti non fanno altro che farmelo notare, che non si dorme più nemmeno con le finestre spalancate e, per carità, non avete l’aria condizionata?
Settembre /// undici di trenta
I CONTRATTEMPI più COMUNI (parte 2)
– I clienti che chiedono un’ulteriore sconto sui libri già scontati.
– I clienti che giustificano la loro precedente richiesta perchè la sua collega l’anno scorso a me ha fatto uno sconto pazzesco.
– I clienti che alle 9.30, quando apro le porte, entrano prima che io accenda le luci commentando la loro avanzata tra gli scaffali con
6 euro per un tascabile non è un po’ troppo?
– La cliente (di solito è donna) che dopo aver preso quattro librini cartonati di barbapapà chiede gentilmente me li impacchetta? Ciascuno con la propria confezione… e magari diversa, così li distinguo. Quando poi la informo che ho solo due tipi di carta da regalo, cambia tono, sbuffa e tenta di farsi strappare uno sconticino per la mancanza di servizi.
– I genitori che bimbi, i libri non si toccano.
non apriteli che tanto poi non li leggete
avete qualcosa di poco impegnativo che si possa leggere anche solo sfogliando? (accaduto ieri)
– La pioggia delle sette di mattina e i sandali dalle suole scollate ai piedi.
– Iniziare a pensare a come e quando iniziare a fare le valige, lasciare il tutto come alone di teoria e non pratica.
Settembre /// dieci di trenta
Quando mi chiedono che lavoro faccio, ultimamente, mi confondo nel dare una risposta. Non so mai se rispondere accennando a questa strana carriera da libraia o srotolare il mio passato mosaicista.
Di solito ho sempre seguito la regola del presente: se inquietante quel periodo lavoravo presso un’enoteca dicevo che facevo la barista, quando stavo dietro la cassa di un ipermercato ero automaticamente una cassiera. L’anno scorso mi trovavo in america nei panni di ragazza alla pari e pulivo le ginocchia dei bambini dal terriccio.
Qui il fatto di stare gran parte del giorno in una libreria mi rende vulnerabile ad un’innocua domanda sull’occupazione perché divento contemporaneamente commessa, cassiera, curatrice, lettrice e fortunata nullafacente. Gli scaffali invece dei muri spogli di casa, i libri i migliori soprammobili, ognuno con la propria storia. E fin qui resto nel banale romanticismo. Malattia non infettiva, niente paura.
Questa mattina poi è accaduto esattamente ciò che sospettavo sarebbe successo prima o poi. Rientrando in cucina c’erano già i muratori all’azione con il cemento portland e le cazzuole in acciaio. Entrano ed escono di casa come nulla fosse, addirittura uno di loro ha iniziato a chiamare zia la mia anziana coinquilina, nonché proprietaria dell’appartamento. C’era odore di caffè, sigarette, rosmarino e dopobarba e per un attimo ho pensato che mi era mancato avere uomini in giro per casa, ricordo di quando le mensole non cadevano e nessuno lasciava in giro per casa salviette struccanti, a parte me.
Ci siamo seduti tutti attorno al tavolo e mentre ciascuno versava nel proprio caffè zucchero, dolcificante o grappa a seconda del proprio passato o presente, io ho azzardato a chiedere come mai non avessero isolato il massello prima di posare le piastrelle in gres, facendo notare che su quel terrazzo ha sempre piovuto molto. Roba tecnica insomma, roba da piastrellista in erba post laurea.
Si sono subito agitati, ma di quell’agitazione complice di chi sa di parlare con qualcuno che parla la stessa lingua. Ogni minuto che passava rispolveravo la sensazione delle mani sporche di malta e i gomiti che prudono per la polvere. Abbiamo riso a proposito di caldane mescolate con vinavil e sabbia di Riccione, per risparmiare. E che bella cosa farsi spiegare, alla fine, che esistono livellanti impermeabili, poi chisseneimporta se mai li useremo.
Al diavolo la carta, io voglio fare l’operaia ho pensato ad un certo punto, poi mi è passato, ma ad un certo momento mi sono trovata dalla parte della semi-ignoranza in materia e non più nel settore Chronotropic Incompetence.
Che amabile conversazione tra muratori oggi.
Dopo mezz’ora avevo ricevuto in dono due litri di aggrappante Planitop 220, una sostanza lattiginosa che domani userò per iniziare il restauro su commissione di una lisca di pesce enorme. Acrilico su parete umida, per intenderci. E pruderanno i gomiti fino a sera.
Settembre /// sette di trenta
Stanno iniziando a partire tutti, è tornato il caldo e le zanzare, ma la sera in libreria non entrano che poche persone. Mi domando se valga la pena di tenere aperto fino a fine Settembre qui. Le giornate ad ogni modo per me si sono allungate, finalmente dormo di meno ed evitando di restare a letto fino alle undici mi guadagno un sacco di ore in più per esplorare l’isola e dedicare del tempo a chi mi sta attorno.
Oggi per esempio mi hanno adottata, in campagna, per un pranzo. Eravamo una decina, più un bimbo di pochi mesi e due cani tutti neri. Fuori sembrava di stare nel giardino botanico padano (o almeno di quelli che ricordo io, nella periferia di Udine e Pordenone), dove le nonne coltivano uva meravigliosa senza potarla nemmeno con tanta cura e l’erba cresce un po’ come le pare ma è sempre morbida e del verde più intenso. In pomeriggi come questo, sdrai, violini e chitarre nel giardino e persone felici che mangiano tagliatelle fatte in casa al doppio ragù, io mi sento come se non sentissi più niente e fossi del colore giusto.
Stasera si gioca invece. Pigiama party, con la regola di indossare un qualcosa che non abbiamo mai indossato prima, anche una muta da sub rivoltata al rovescio o da Blu-Indaco. Voglio vedere che si inventano i miei vicini di casa. Io ho scelto di travestirmi da texture, ed ora che ci penso preferisco sentirmi texture che colore.
Settembre /// cinque di trenta
– Ma perchè quando sei in compagnia diventi tutto diverso, diamine, eh?
– Diverso, io?
– Sì, mi ignori, come se non ti servissi, anche se sono lì vicino a te. Ma ti pare il caso?
– Ma cosa?
Una piscina comunale d’inverno, il mare oggi. Limpido e poco affollato, tra una schiera di barche a vela ormeggiate alle boe solitarie.
Ieri sera sono rimasta da Z. per cena e film. Capita ogni tanto, così la mattina si va subito in spiaggia a due passi. Non che il posto dove sto io sia lontano dall’acqua. Anzi, saranno cinquanta metri dal portone del condominio. Ma il Lido è un’altra cosa, non è come la spiaggetta o gli scogli sotto la libreria. Una piscina, dicevo. Capita quando il vento soffia fuori e porta via meduse, pàtine sporche galleggianti e battiglie.
Al mattino ho raccolto un paio di fichi dall’albero nell’orto spaventando un turista che si stava sporgendo dalla stradina sterrata, oltre il recinto. Ha fatto un balzo quando mi ha vista, allontanandosi piano piano. Suvvia, è mattina, ho pensato. Accettatemi così come sono, arruffata e in pigiama.
Al mare poi ci siamo andati, la sabbia scottava e la doccia non era più a pagamento ma ad uso libero dei pochi turisti rimasti. Mi mancherà tutto ciò, ma vabbè, tanto l’estate finisce anche se non me ne vado via dall’isola. Sono rimasta seduta un po’ in disparte a pensare a questo menefreghismo che mi veniva così spontaneo, quando ho sentito una signora rivolgersi in tono lamentoso a suo marito. C’erano troppi punti di domanda nel loro botta-e-risposta, anzi nel loro domanda-e-domanda e pure un eccesso di ma non irrilevante. Quanta responsabilità ci vuole per rispondere? Forse un sacco, ed io che da un bel po’ sono in libreria, con varie bozze da correggere e qualche libro aperto sul bancone, mi rendo conto che a me di ma e domande serie non arrivano da mesi.
Settembre /// quattro di trenta
Mi è balenato per la testa che potrei anche iniziare ad impacchettare negli scatoloni, che la stanza si sta affollando di cose che accumulo su sedie e scrivania, tirando tutto fuori dagli armadi. Con i vestiti sono emersi pure libri e quaderni del mio periodo romano a inizio 2014.
Uno di questi me lo porto dietro da un paio di giorni ovunque vada, pure a pescare di notte. Mi piace il peso in più nello zaino oltre l’impermeabile e la sciarpa.
Insomma questo libro è il non-libro per eccellenza. Queneau, Raymond Queneau, libero sfogo alla pronuncia.
[A me piace dire Quenò, a qualcuno Chenòu, non pratico francese e mi assumo tutti i (sic) che voglio.]
Questo ometto dallo sguardo furbo e gli occhiali tondi (squadrati poi in vecchiaia), parla sempre della stessa cosa nel suo “Esercizi di stile”, ma CHE COSA!
Queneau parte con qualche riga iniziale in cui descrive un evento banalissimo: l’ora di punta sulla linea S.
“Sulla S in un’ora di traffico. Un tipo di circa ventisei anni, cappello floscio con una cordicella al posto del nastro, collo troppo lungo, come se glielo avessero tirato. La gente scende. Il tizio in questione si arrabbia con un vicino. Gli rimprovera di spingerlo ogni volta che passa qualcuno. Tono lamentoso con pretese di cattiveria. Non appena vede un posto libero, vi si butta. Due ore più tardi lo incontro alla Cour de Rome, davanti alla Gare Saint Lazare. È con un amico che gli dice: ‘Dovresti far mettere un
bottone in più al soprabito’. Gli fa vedere dove (alla sciancratura) e perché”.
Niente di più, tutta qui la materia prima: parole. Poi via ad eseguire acrobazie: cuoce, frigge e bolle la stessa scena in 98 salse diverse.
Esplora il linguaggio in un modo sempre diverso, per esempio in veste di comunicato stampa, come testo volgare (ma volgare davvero eh), telegrafico. Usa ellenismi, versi liberi, un linguaggio femminile piuttosto che zoologico e si azzarda pure ad intitolare uno di questi 98 spaccati Italianismes (tradotto immancabilmente in Francesismi).
Qui sotto allego un sincopi, che m’ha fatto sorridere, mentre cercavo di farmi luce con l’ultimo quattro percento sugli scogli, la scorsa notte.
“Ungrno vrso mzogiorno sopra lpaiattformapstriore duntobus delalina S vdin gíovn dalcoltrplngo cheportva uncpelloircndtda unacrdcella intrcc. Eglsto appstro’ fiV isuvicno prtndendochcotui fcvappsta a pstrglipdi agni frmt. Porpdmente eglbndono’ ladscsione pergttrsi sdin pstlbro. Lrivdqulche orpitrdi dvantilastzione Sntlzre igrn conversazne cncmpgno chísuggrva dfrisalre upco ibottne desusprbto.”
SettembRe /// tRe di tRenta
Mai avuto problemi con le R
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Quando ero alle elementari la maestra Chiara una volta al mese ci portava fuori in esplorazione del bosco, del fiume Tagliamento, giocavamo a fare gli scienziati con vasetti di acqua, acrilico e olio a strati, facevamo crescere i germogli di soia sui davanzali dell’aula. Di solito accadeva di venerdì ed io adoravo questa meravigliosa maestra tutta riccia e piena di idee, tanto che tornavo a casa e continuavo a coltivare semi di basilico o pomodoro nel corridoio, oppure finivo lo zucchero dalla dispensa in cucina per ricreare i cristalli tramite evaporazione. Mia madre non si è mai arrabbiata o stufata di fornirmi materia prima per tutti i miei esperimenti. Ha solo fatto attenzione che non intasassi lo scarico della vasca da bagno con la pastella di amido di mais, quella volta che tentai di ricreare il fluido non newtoniano (clic qui se vuoi farlo anche tu, di nascosto).
Tutto ciò per dire che il tempo che Chiara aveva a disposizione per noi durante quei rari venerdì era davvero ristretto. O meglio, eravamo noi che purtroppo avevamo poco tempo da passare con lei a fare educazione ambientale. E comunque quando si tornava in classe la maestra di matematica zittiva l’emozione generale dichiarando guerra alla scompostezza, alle maniche arrotolate fino ai gomiti ed alla così detta distrazione. Di cosa e da cosa poi, non si è mai capito. Eravamo solamente felici.
Seduti, ora vi tocca la matematica, diceva iniziando a scorrere le sue dita laccate di rosso sul registro.
E dico io, seconda elementare. Terrorismo puro.
Ora, a distanza di anni, ricordo ancora benissimo la sensazione di disgusto per le tabelline, le divisioni, gli insiemi. Tutte cose con le quali devo allegramente fare i conti ogni giorno a lavoro e non. Ho sempre odiato la matematica, ma ora ci convivo come la miglior moglie fa, abituata al suo peggior e unico marito.
L’italiano invece non lo odio, e nemmeno scienze. Anche se a volte mi capita di omettere qualche H lasciando singole vocali tra un pronome ed un verbo, o di sbagliare le percentuali di soda e limone per sbiancare le pentole in cucina dopo aver bruciato il risotto ai funghi.
Settembre /// due di trenta
Abbiamo raccolto i fichi d’india dalle piante di fico d’india, ma non è mia intenzione dedicarci un intero articolo un po’ per il dolore che ho alle mani piene di spine e un po’ per non scadere nel banale. No vabbè, anche un po’ per orgoglio [più di un chilo di bottino].
L’idea iniziale era quella di riempire le otto ore di pausa tra l’una e le nove prima di tornare a lavoro. Così, prima di tutto e di tutti, mi sono lasciata convincere per un’altra fetta di torta, ovviamente dopo della solita nuotata chilometrica lungo la costa. C’era più sale nell’acqua o io ero più abbronzata del solito, il mare mi ha resa bianca-bianchissima e mentre sfrecciavo pedalando verso casa il benzinaio ha urlato deh, boia, ma ti sei rotolata nella malta? ed io mi sono girata di scatto che quasi finivo nell’acqua del porto.
La sera poi, quando ormai le mie otto ore si sono esaurite tra mare e pseudo-cactus, ho dato il cambio alla mia collega tornando in libreria.
La cosa strana è che Settembre è iniziato al rallentatore. Per esempio la colazione di questa mattina mi sembra quella di un mese fa e la cena a base di pesce terminata da mezz’ora dietro il bancone è già un ricordo lontanissimo, tipo di ieri o l’altro ieri. Dev’essere accaduto qualcosa tra il 31 e il primo o forse è perché ci faccio caso io, ma se continua così questo mese avrà la mole di tre settembri (sic). O quattro.
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Foto: http://www.galleriaopus.it/works-walter-xausa/wx035-fichi-dindia-in-spiaggia-50×50-acrilico-su-tela-anno-2010/
Mi piace
Continuano le ondate di turisti italiani, spesso tutti irritati come fossero stati spazzolati con il pettine a rastrello già di prima mattina. Non mi piacciono i turisti italiani con i bambini sporchi di gelato al seguito, mi piacciono però i loro papà e nonni e nonne, le mamme meno. Così come non disprezzo i cani al guinzaglio dispersi tra gli scaffali, mentre annusano le copertine dei pocket gialli scontati del 25%. Poi c’è un orario che preferisco più di tutti gli altri momenti della giornata, ed è questo, tra le undici e mezza e mezzanotte quando tutti si calmano in libreria. Qualcuno si siede pure a terra a sfogliare qualche libro di ricette. Io continuo a fare le mie cose tra riordinare e sfogliare qualche libro appena arrivato piuttosto che uno nascosto mai visto prima.
Tra l’altro dopodomani, che sarà il primo di settembre, per quindici giorni di seguito cercherò di essere presente, qui. Un po’ per sdrammatizzare l’autunno e un po’ per dare un taglio netto all’estate, che non si è ancora capito bene se sia arrivata o meno.
Ancora gialli
Sono giornate gialle di sole, caldo e di classici Doyle, Simenon e di S. S. Van Dine da risistemare in bella vista – che se non fosse per Diego che mi porta un bicchiere d’acqua di tanto in tanto dal bar, io non so se ce la farei a trascinarmi tra gli scaffali con dignità.
Ecco che oggi mi sono arrivati un po’ di libri negli scatoloni cartonati e profumati direttamente da Firenze. Li ho aperti subito gli scatoloni ed ho pensato, toh, altri gialli. Che poi siano gialli di colore e non di contenuto è un’altra storia.
Li ho accantonati accanto ai vari colonnelli e ispettori, per ora, visto che di spazio ne è rimasto poco in libreria. Stanno proprio bene, tutti i gialli vicini. Il che unisce il danno alla beffa.
Dialoghi freschi con clienti #1
Poco fa ha iniziato a piovere e le porte delle libreria si sono chiuse da sole per una ventata. Sono andata a riaprirle e alle mie spalle ho sentito un buonasera
– Due giorni fa vidi un libro, copertina scura con delle rose, non troppo grande. –
– Così è un po’ difficile, così a memoria potrebbe essere l’ultimo di Massimo Nava, oppure… –
– Ma non so, l’ho visto su uno scaffale insieme a delle novità, ora non ricordo il nome. –
Allora mi giro del tutto e le chiedo se l’avesse notato in vetrina o sull’espositore nelle new entry sul bancone.
– Senta, ero alla Feltrinelli, più di dirle che era classificato nei best seller non saprei proprio come aiutarla. –