
In foto: al verde
Venerdì 13, Santa Lucia. Ho ricevuto venti euro, più dieci. Che bello, giusto il tempo di ricordarmi che era il tempo di pagare l’affitto. Il gas. Il filtro per rendere la mia acqua del primo mondo potabile.
Allora, qui funziona che sto diventando grande, ma continuo a raschiare il mio personalissimo libretto dei risparmi, che altro non è che una cartellina blu, piccola tipo un libro Adelphi tascabile, ad anelli e pagine-bustine. Due banconote per bustina, nemmeno le conto, sono quasi tutte da cinque o da dieci. Non so quanto ho risparmiato negli ultimi anni, cinquecento? Seicento? Valgono i soldi spesi, nel conteggio dei risparmi?
La cartellina dieci anni fa faticava a chiudersi, dovevo proprio schiacciarla per farla entrare tra il dizionario Garzanti e le poesie di Caproni. Mi piaceva mettere da parte soldi che sapevo non mi sarebbero serviti adesso, ma magari dopo, o magari mai. A pensarci, è una bella prospettiva quella di non pensarci, ai propri risparmi.
Poi ho preso in affitto la Casetta Interna, il bilocale romano dove tuttora abito.
L’ho chiamato Casetta Interna perché è praticamente irraggiungibile dall’esterno se non si conosce il palazzo in cui è stato “ritagliato”. Ci si perde prima tra scale, porte e ancora altre scale.
Comunque, dicevo, raschiare. Raschiare è un termine che ha usato qualche tempo fa l’impiegata della mia banca, indirizzandomi in modo poco subliminale all’idea di iniziare a fare i bonifici online, invece di presentarmi ogni metà del mese in filiale con un mazzetto di banconote alto dieci centimetri.
– Così ci raschi gli ugelli del contabanconote – ha detto.
Me la sono scritta questa frase, poi magari un giorno chiedo a Francesco, che una volta lavorava in banca pure lui nella mia filiale, prima di trasferirsi in toscana, anche se ora passa la maggior parte del tempo a coltivare e imbottigliare verdure. Chissà se gli sarà mai successo di farsi raschiare gli ugelli allo sportello.
Poi io, alla fine, l’ho imparato l’home banking. I contanti della cartellina blu li sto finendo tra spesa, biglietti dell’autobus e ingressi ai musei. Poi ho scoperto che al bar sono comunque sempre felici di vedermi quando arrivo con una bolletta da pagare e una piccola pila di banconote da cinque spillata sopra.
*
Nessuno parla di soldi, quando il discorso arriva ai soldi, però girarci attorno che bello, sia mai si riesca a cascarci, a scivolare su una banconota, così, per caso. Da dove verrà tutta questa riservatezza per qualcosa di così indispensabile e allo stesso tempo immateriale? Secondo me a questo punto si potrebbe anche iniziare a vedere il denaro anche come condizione semantica, invece di farlo passare soltanto per un sostantivo maschile.
Mi spiego meglio: c’è questa parola, enantiosemìa, che si riferisce alla caratteristica di certe parole (o anche intere proposizioni) di avere due significati opposti. È una specie di malattia linguistica, dove vince il senso che dai sul momento al contesto.
Un esempio è tirare. Si tira una corda, ma si tira anche un sasso. Anche ospite è una parola affetta da enantiosemìa, così come affittare.
Comunque venti euro, più dieci, per Santa Lucia. Per la prima volta da dieci anni, ovvero da quando mi sono staccata dalla casa dove sono cresciuta in compagnia di colazioni, pranzi e cene con parenti, calzini sparsi per casa e Natale con i tuoi, tutto il resto pure. Insomma ho lavorato, due ore. A volte faccio ripetizioni a dei bambini delle elementari: leggiamo storie, impariamo a contare bene bene, ci prepariamo per ricordare lunghe stringhe di numeri-pin per accedere all’home banking, tra una quindicina d’anni.
Ad ogni modo anche fare ripetizioni è anantiosemico.
PS: i dieci euro in più sono quelli che ho trovato all’angolo con il supermercato, poco dopo.