Massima del giorno

(da canticchiare)

Perdere il lavoro

Quando si fa sera

Quando tra i capelli

Un po’ d’argento li colora

Rischi di impazzire

Può scoppiarti il cuore

Perdere un ufficio

E avere voglia di morire

Lasciami gridare

Rinnegare il cielo

Prendere a sassate

Tutti i sogni ancora in metro

Li farò cadere ad uno ad uno

Spezzerò le ali del destino

(si interrompe qui)

Il caffè della mattina (1)

Questa mattina la prima cosa che ho pensato è stata non il caffè, non il tempo fuori, non la patente persa, ma l’indifferenziata, la plastica e la carta che – quest’ultima, la carta – ieri l’abbiamo messa fuori in un sacco nero, di plastica, chissà se ce l’hanno ritirata, mi sono chiesta.

Quasi Wikipedia random

«[…] Mi sono ricordato di Antoine Parmentier, un agronomo francese (dal quale la fermata prende il nome) famoso per la diffusione della patata (già, perché prima di lui si pensava fosse addirittura velenosa – o comunque nociva-, a quanto ne so).
Sai come riuscì [Parmentier] a convincere i contadini francesi, inizialmente diffidenti, a cibarsi di patate? Cito: “[…] fece inviare militari armati a presidiare, dall’alba al tramonto, i campi coltivati a patate; i contadini si convinsero trattarsi di cibo prezioso e cominciarono a rubarle nottetempo, così iniziando a consumarle.”»

Fauna attuale al nord

“Sto leggendo Kant”-“che schifo Kant”
-“ma che schifo tu” -“no ma in effetti
Kant è molto interessante” “ma vero?”
E da li via a parlar di dio, dell’abbandono,
dell’arte, finché lui non ritira fuori la
rossa offrendomi una sigaretta. Che
elementi. “Registriamo i nostri dialoghi e ci facciamo un film alla Nanni Moretti.”
Parole sue, Roma 2017 […], domani una cena, mi torna alla mente la bourguignonne e rido da solo. E si, ho cercato su Wikipedia prima di scrivere quella mastodontica parola francese: mai ci sarei arrivato da solo. Che poi io mica ho ancora capito: il francese lo so o non lo so? Vattelappesca.

Ad alta voce

 

Da un paio di anni lavoro in un posto, un’azienda che mi fa scegliere colori e forme per le proprie etichette, e che io da  poco ho iniziato a chiamare asilo. In realtà ora fino a settembre non ci lavoro più, sono da un’altra parte a fare altre cose, ma lì all’asilo durante una giornata lavorativa accadevano regolarmente episodi da gruppetto-lupetti-tutti-in-fila-che-si-va in-mensa.

Francesca? No, Simona, ufficio grafico, chiami l’interno quattordici, Ah bene ma quindi lei è Cinzia? No, sono Simona. Bene, ma Francesca la trovo?

Oppure

merende collettive con equa consegna di biscotti e caffè tra colleghi (“no no, basta che poi non dormo” é la frase più quotata tra le nove e le tre), o ancora: arrabbiature d’opinione dovute alla tonalità di blu che una volta uscito dalla tipografia non sarà mai uguale a quello visto su schermo.

E poi arruffamenti di capelli, sfoghi sentimentali, patriottismi, disegnini sulla lavagna, le misure delle scatole prese a braccio e il peso Vabbè saranno circa due o tre chili e altre cose che ora in Salento, io non ci dovrei nemmeno pensare. Sono 48 ore che non faccio altro che annuire.

Scusate gli spazi sconnessi, scrivo dal mio ebook connesso ad una rete aperta. Poi è molto difficile cercare le lettere in una tastiera che inizia con la A a sinistra in altoal finisce con la Z a destra in bassob tre righe sotto. L’html è utile però.

 

Quattro più uno

Oggi è il giorno in cui parto (partiamo) per il Salento dove io dovrei fare una cosa che non ho mai fatto e cioè lavorare mentre tutti credono che sono in vacanza. È un esperimento, vediamo se funziona anche il contrario e cioè sentirmi in vacanza mentre il lavoro mi accade.

Per ora siamo in quattro più un cane, viaggiamo sul frecciargento, vagone 7 posti 11 e 12, A e B e parliamo dei ragamuffin.