Settembre /// quattordici di trenta

Il mondo è pieno di persone con numeri di telefono.
Telefoni cellulari in prevalenza, rispetto ai numeri di casa. Rispetto pure al numero di case proprie che è in continuo calo qui in Italia, da quanto si sente.
Poi accade che mi danno un numero di casa, lo perdo in giro tra scontrini e ricevute di conti depositi ed è la fine.
Per fortuna che c’è chi non ha bisogno di numeri per tenersi in contatto con me. O viceversa.

 

Settembre /// tredici di trenta

Continuano i lavori in casa,
continua a scadere il tempo su quest’isola. I muratori ci hanno tolto la porta del bagno e, considerando che hanno le chiavi in mano del nostro appartamento fino a giorno indefinito, ci tocca fare la guardia che non entrino in bagno mentre una di noi si fa la doccia o si lava i denti in mutande e canotta.
Devo aver preso l’influenza. Mal di testa e senso di smarrimento. Tra l’altro non dovevo nemmeno lavorare oggi, ma mi hanno svegliata dolcemente all’ora di pranzo, verso l’una, con la proposta di un minestrone di verdure. Stavo così male che alzandomi ho dovuto appoggiarmi alla parete per far smettere di girare i mobili attorno. Mentre mangiavamo con Teresa, sono entrati i muratori in cucina e hanno iniziato a dire frasi sconnesse come buono il pranzo? / Noi abbiamo aperto la forma nuova di formaggio oggi / appena finite pariamo del pagamento perchè ci sono delle complicazioni con il piano di sopra e forse pure con quello di sotto e cose così. A quel punto ho dovuto sostenere Teresa sulla sedia in preda ad un mancamento con tutto il mobilio danzante – attorno a lei, questa volta.
E niente, hanno parlato di impalcature, soffitti che cascano e intonaci. Non potendo intromettermi in quanto soltanto ospite per il periodo estivo, ho spelato un paio di fichi d’india cercando di non farmi male e me ne sono andata sulla terrazza della mia stanza. Qualcuno dall’altra parte ha aperto le ante verdi della propria porta-finestra, poi è rientrato senza vedermi. Un gabbiano si è seduto sulla ringhiera a pochi metri da me. Più che seduto, appoggiato. In realtà non ho mai visto gabbiani sedersi, tranne che sulla superficie del mare. Ma pure lì, non è che proprio ci appoggino le natiche.

Settembre /// dodici di trenta

Questa mattina un attimo prima che suonasse la sveglia ho aperto gli occhi e mi è subito balenato in testa che in meno di un’ora avrei dovuto di nuovo avere a che fare con cemento, spatole e pennelli. L’idea di per se non era scomoda, anzi non vedevo l’ora, ma mi ero addormentata con il braccio sotto il cuscino che era così intorpidito che sembrava non ci fosse.
Sono scesa reggendo la borsa con la sinistra mentre l’altra mano si stava riprendendo con comodo e per le scale non ho fatto a meno di notare pezzi di intonaco scrostato un po’ ovunque. I muratori stavano salendo due scalini alla volta, ci siamo incrociati e uno di questi mi ha porto la mano per un saluto ma non ho potuto proprio ricambiare. Stavo giusto in quel momento di crisi che è l’attraversata di formiche dall’avambraccio alle falangette.
Per qualche strano e curioso motivo ci siamo ritrovati in due a ristrutturare il murales che tra l’altro si è rivelato di più strati, rimossi tutti meticolosamente nei punti più rovinati fino al cemento e coperto poi di rasante (ovviamente non prima di aver tolto con unghie e denti lo stucco bianco che il giorno precedente avevo applicato noncurante del livello mostruoso di umidità della parete).
Ora non mi resterà che completare il pesce e le sue lische cercando di avvicinarmi il più possibile al suo colore originale, nonché ultimo dei quattro strati.

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Settembre /// undici di trenta

I CONTRATTEMPI più COMUNI (parte 2)

– I clienti che chiedono un’ulteriore sconto sui libri già scontati.

– I clienti che giustificano la loro precedente richiesta perchè la sua collega l’anno scorso a me ha fatto uno sconto pazzesco.

– I clienti che alle 9.30, quando apro le porte, entrano prima che io accenda le luci commentando la loro avanzata tra gli scaffali con
6 euro per un tascabile non è un po’ troppo?

– La cliente (di solito è donna) che dopo aver preso quattro librini cartonati di barbapapà chiede gentilmente me li impacchetta? Ciascuno con la propria confezione… e magari diversa, così li distinguo. Quando poi la informo che ho solo due tipi di carta da regalo, cambia tono, sbuffa e tenta di farsi strappare uno sconticino per la mancanza di servizi. 

– I genitori che bimbi, i libri non si toccano.
non apriteli che tanto poi non li leggete
avete qualcosa di poco impegnativo che si possa leggere anche solo sfogliando? 
(accaduto ieri)

– La pioggia delle sette di mattina e i sandali dalle suole scollate ai piedi.

– Iniziare a pensare a come e quando iniziare a fare le valige, lasciare il tutto come alone di teoria e non pratica.

Settembre /// dieci di trenta

Quando mi chiedono che lavoro faccio, ultimamente, mi confondo nel dare una risposta. Non so mai se rispondere accennando a questa strana carriera da libraia o srotolare il mio passato mosaicista.
Di solito ho sempre seguito la regola del presente: se inquietante quel periodo lavoravo presso un’enoteca dicevo che facevo la barista, quando stavo dietro la cassa di un ipermercato ero automaticamente una cassiera. L’anno scorso mi trovavo in america nei panni di ragazza alla pari e pulivo le ginocchia dei bambini dal terriccio.
Qui il fatto di stare gran parte del giorno in una libreria mi rende vulnerabile ad un’innocua domanda sull’occupazione perché divento contemporaneamente commessa, cassiera, curatrice, lettrice e fortunata nullafacente. Gli scaffali invece dei muri spogli di casa, i libri i migliori soprammobili, ognuno con la propria storia. E fin qui resto nel banale romanticismo. Malattia non infettiva, niente paura.
Questa mattina poi è accaduto esattamente ciò che sospettavo sarebbe successo prima o poi. Rientrando in cucina c’erano già i muratori all’azione con il cemento portland e le cazzuole in acciaio. Entrano ed escono di casa come nulla fosse, addirittura uno di loro ha iniziato a chiamare zia la mia anziana coinquilina, nonché proprietaria dell’appartamento. C’era odore di caffè, sigarette, rosmarino e dopobarba e per un attimo ho pensato che mi era mancato avere uomini in giro per casa, ricordo di quando le mensole non cadevano e nessuno lasciava in giro per casa salviette struccanti, a parte me.

Ci siamo seduti tutti attorno al tavolo e mentre ciascuno versava nel proprio caffè zucchero, dolcificante o grappa a seconda del proprio passato o presente, io ho azzardato a chiedere come mai non avessero isolato il massello prima di posare le piastrelle in gres, facendo notare che su quel terrazzo ha sempre piovuto molto. Roba tecnica insomma, roba da piastrellista in erba post laurea.
Si sono subito agitati, ma di quell’agitazione complice di chi sa di parlare con qualcuno che parla la stessa lingua. Ogni minuto che passava rispolveravo la sensazione delle mani sporche di malta e i gomiti che prudono per la polvere. Abbiamo riso a proposito di caldane mescolate con vinavil e sabbia di Riccione, per risparmiare. E che bella cosa farsi spiegare, alla fine, che esistono livellanti impermeabili, poi chisseneimporta se mai li useremo.
Al diavolo la carta, io voglio fare l’operaia ho pensato ad un certo punto, poi mi è passato, ma ad un certo momento mi sono trovata dalla parte della semi-ignoranza in materia e non più nel settore Chronotropic Incompetence.
Che amabile conversazione tra muratori oggi.

Dopo mezz’ora avevo ricevuto in dono due litri di aggrappante Planitop 220, una sostanza lattiginosa che domani userò per iniziare il restauro su commissione di una lisca di pesce enorme. Acrilico su parete umida, per intenderci. E pruderanno i gomiti fino a sera.

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Settembre /// nove di trenta

I CONTRATTEMPI più COMUNI (parte 1)

– Il caffè alle dieci di mattina che, se preso alle dieci e un quarto -invece che, appunto, alle dieci- diventa lungo fino a pranzo. Con l’aggiunta del pranzo stesso mancato.

– Il dai vediamo e tutto ciò che viene dopo. Per esempio dai vediamo se si riesce a organizzare domani. Nulla accadrà domani, nessuno si ricorderà nemmeno che c’è stato un ieri.

– I muratori in casa, gli xilofoni senza bacchette, la lavatrice in centrifuga (quando non sai quando smetterà)

– I discorsi che partono con se c’ero io al governo oppure ti vorrei vedere al mio posto.

– La raccolta dei fichi d’india senza i preparativi adeguati (guanti e sacchetti). Con lo scirocco poi, alle tre del pomeriggio, torni a casa spinoso e arrabbiato che è una meraviglia.

– I libri comprati in blocco, quattro o cinque alla volta, ogni settimana e ammucchiati sulla scrivania. E le bozze di lavoro da correggere entro ottobre accantonate nel cassetto del comodino.

– Il farro. A cena ruba tempo. Si inizia a pensarci al tramonto e si smette dopo aver finito di lavare l’ultimo piatto di almeno altre tre persone. Bello il farro, ma mi frega per la seconda volta in due giorni, e sono già le dieci di sera.

 

Settembre /// otto di trenta

Volevo scrivere di quella volta che mi hanno mandata a prendere la pizza in una delle dieci pizzerie in piazza. Ho messo i soldi in tasca dopo aver accuratamente scritto prosciutto e salsiccia sull’avambraccio e sono partita. I camerieri non mi hanno riconosciuta, erano tutti lì lì per farmi accomodare ad un tavolino già apparecchiato con tanto di candela, all’aperto. Per fortuna sono riuscita a fargli capire che la pizza era per un mio amico che lavora al bar sul lungomare e che no, non sono qui in vacanza e quindi non necessito del prezzo da turista. Quando poi il pizzaiolo stesso mi ha chiesto come la volessi, per un attimo ho avuto un lapsus, gli ho mostrato quel prosciutto e salsiccia scritto a biro blu, lui ha preso un appunto sul suo blocco note altissimo e ha detto “brava, non si spreca la carta” annuendo e andandosene in cucina.

Settembre /// sette di trenta

Stanno iniziando a partire tutti, è tornato il caldo e le zanzare, ma la sera in libreria non entrano che poche persone. Mi domando se valga la pena di tenere aperto fino a fine Settembre qui. Le giornate ad ogni modo per me si sono allungate, finalmente dormo di meno ed evitando di restare a letto fino alle undici mi guadagno un sacco di ore in più per esplorare l’isola e dedicare del tempo a chi mi sta attorno.
Oggi per esempio mi hanno adottata, in campagna, per un pranzo. Eravamo una decina, più un bimbo di pochi mesi e due cani tutti neri. Fuori sembrava di stare nel giardino botanico padano (o almeno di quelli che ricordo io, nella periferia di Udine e Pordenone), dove le nonne coltivano uva meravigliosa senza potarla nemmeno con tanta cura e l’erba cresce un po’ come le pare ma è sempre morbida e del verde più intenso. In pomeriggi come questo, sdrai, violini e chitarre nel giardino e persone felici che mangiano tagliatelle fatte in casa al doppio ragù, io mi sento come se non sentissi più niente e fossi del colore giusto.

Stasera si gioca invece. Pigiama party, con la regola di indossare un qualcosa che non abbiamo mai indossato prima, anche una muta da sub rivoltata al rovescio o da Blu-Indaco. Voglio vedere che si inventano i miei vicini di casa. Io ho scelto di travestirmi da texture, ed ora che ci penso preferisco sentirmi texture che colore.

Settembre /// sei di trenta

” Poco importa chi ha iniziato, prima o poi qualcuno dovrà pur finirla!”
Madre arrabbiata rivolta ad un bimbo ed il suo amichetto con il proprio piede sopra una farfalla.

È un vero peccato che a volte non si abbia che da dire di fronte a gesti grandi o parole piccole piccole messe insieme, che fanno frasi altrettanto grandi. Mi sento limitata così tanto che vorrei imparare altre dieci lingue, prendere il traghetto e raggiungere un’altra isola perché sì, sempre di isole si tratta. Poi spedire un pacco pieno di cose -che ho con me e non uso più- nella mia vecchia casa, attraversare a nuoto lo stretto di Messina con uno strumento musicale a corde in una custodia impermeabile, svegliarmi ogni mattina alle sei per non perdermi nemmeno un’alba e anche raccogliere mirtilli in Canada, sudare nei campi di cotone dell’Est, esplorare a piedi New York come un anno fa e Brooklyn in bici.
Vorrei mani sporche di terra, le spalle bruciate dal sole e la stanchezza fisica di chi torna a casa felice dopo aver raccolto tonnellate di olive o asparagi selvatici nel mese di Ottobre. Sempre che ce ne siano, in quella parte di anno.

Oggi ho scartato la Corsica (a pochi giorni dallo scarto momentaneo di Roma e degli Stati Uniti).
Ero e sono tutt’ora un po’ triste, ma sai che c’è? Va bene , anzi benissimo così. Devo portare a casa -nella vera casa al nord- una chitarra, tre xilofoni e un mandolino. A seguire un quadro dalla cornice bianca e un paio di scatoloni di libri e sketch-book. E poi mica abbandonarli lì.
Che facciamo? Abbiamo una stanza libera per ricreare uno studio di registrazione o una saletta-musica? ho chiesto l’altra mattina a mia sorella appena rincasata da una nottata di festa. Ha detto che in casa sono tutti entusiasti, allora ho promesso che avrei iniziato a raccogliere le confezioni in cartone delle uova, per insonorizzare il salone che non utilizziamo al terzo piano.
La responsabilità a volte ha la meglio, ma l’iniziativa la batte.

Rolling-Stones-Recording

Settembre /// cinque di trenta

– Ma perchè quando sei in compagnia diventi tutto diverso, diamine, eh? 
– Diverso, io? 
– Sì, mi ignori, come se non ti servissi, anche se sono lì vicino a te. Ma ti pare il caso?
– Ma cosa?

Una piscina comunale d’inverno, il mare oggi. Limpido e poco affollato, tra una schiera di barche a vela ormeggiate alle boe solitarie.
Ieri sera sono rimasta da Z. per cena e film. Capita ogni tanto, così la mattina si va subito in spiaggia a due passi. Non che il posto dove sto io sia lontano dall’acqua. Anzi, saranno cinquanta metri dal portone del condominio. Ma il Lido è un’altra cosa, non è come la spiaggetta o gli scogli sotto la libreria. Una piscina, dicevo. Capita quando il vento soffia fuori e porta via meduse, pàtine sporche galleggianti e battiglie.
Al mattino ho raccolto un paio di fichi dall’albero nell’orto spaventando un turista che si stava sporgendo dalla stradina sterrata, oltre il recinto. Ha fatto un balzo quando mi ha vista, allontanandosi piano piano. Suvvia, è mattina, ho pensato. Accettatemi così come sono, arruffata e in pigiama.
Al mare poi ci siamo andati, la sabbia scottava e la doccia non era più a pagamento ma ad uso libero dei pochi turisti rimasti. Mi mancherà tutto ciò, ma vabbè, tanto l’estate finisce anche se non me ne vado via dall’isola. Sono rimasta seduta un po’ in disparte a pensare a questo menefreghismo che mi veniva così spontaneo, quando ho sentito una signora rivolgersi in tono lamentoso a suo marito. C’erano troppi punti di domanda nel loro botta-e-risposta, anzi nel loro domanda-e-domanda e pure un eccesso di ma non irrilevante. Quanta responsabilità ci vuole per rispondere? Forse un sacco, ed io che da un bel po’ sono in libreria, con varie bozze da correggere e qualche libro aperto sul bancone,  mi rendo conto che a me di ma e domande serie non arrivano da mesi.

Settembre /// quattro di trenta

Mi è balenato per la testa che potrei anche iniziare ad impacchettare negli scatoloni, che la stanza si sta affollando di cose che accumulo su sedie e scrivania, tirando tutto fuori dagli armadi. Con i vestiti sono emersi pure libri e quaderni del mio periodo romano a inizio 2014.
Uno di questi me lo porto dietro da un paio di giorni ovunque vada, pure a pescare di notte. Mi piace il peso in più nello zaino oltre l’impermeabile e la sciarpa.
Insomma questo libro è il non-libro per eccellenza. Queneau, Raymond Queneau, libero sfogo alla pronuncia.
[A me piace dire Quenò, a qualcuno Chenòu, non pratico francese e mi assumo tutti i (sic) che voglio.]
Questo ometto dallo sguardo furbo e gli occhiali tondi (squadrati poi in vecchiaia), parla sempre della stessa cosa nel suo “Esercizi di stile”, ma CHE COSA!
Queneau parte con qualche riga iniziale in cui descrive un evento banalissimo: l’ora di punta sulla linea S.

“Sulla S in un’ora di traffico. Un tipo di circa ventisei anni, cappello floscio con una cordicella al posto del nastro, collo troppo lungo, come se glielo avessero tirato. La gente scende. Il tizio in questione si arrabbia con un vicino. Gli rimprovera di spingerlo ogni volta che passa qualcuno. Tono lamentoso con pretese di cattiveria. Non appena vede un posto libero, vi si butta. Due ore più tardi lo incontro alla Cour de Rome, davanti alla Gare Saint Lazare. È con un amico che gli dice: ‘Dovresti far mettere un 
bottone in più al soprabito’. Gli fa vedere dove (alla sciancratura) e perché”.

Niente di più, tutta qui la materia prima: parole. Poi via ad eseguire acrobazie: cuoce, frigge e bolle la stessa scena in 98 salse diverse. 
Esplora il linguaggio in un modo sempre diverso, per esempio in veste di comunicato stampa, come testo volgare (ma volgare davvero eh), telegrafico. Usa ellenismi, versi liberi, un linguaggio femminile piuttosto che zoologico e si azzarda pure ad intitolare uno di questi 98 spaccati Italianismes (tradotto immancabilmente in Francesismi). 

Qui sotto allego un sincopi, che m’ha fatto sorridere, mentre cercavo di farmi luce con l’ultimo quattro percento sugli scogli, la scorsa notte. 

“Ungrno vrso mzogiorno sopra lpaiattformapstriore duntobus delalina S vdin gíovn dalcoltrplngo cheportva uncpelloircndtda unacrdcella intrcc. Eglsto appstro’ fiV isuvicno prtndendochcotui fcvappsta a pstrglipdi agni frmt. Porpdmente eglbndono’ ladscsione pergttrsi sdin pstlbro. Lrivdqulche orpitrdi dvantilastzione Sntlzre igrn conversazne cncmpgno chísuggrva dfrisalre upco ibottne desusprbto.”

SettembRe /// tRe di tRenta

Mai avuto problemi con le R
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Quando ero alle elementari la maestra Chiara una volta al mese ci portava fuori in esplorazione del bosco, del fiume Tagliamento, giocavamo a fare gli scienziati con vasetti di acqua, acrilico e olio a strati, facevamo crescere i germogli di soia sui davanzali dell’aula. Di solito accadeva di venerdì ed io adoravo questa meravigliosa maestra tutta riccia e piena di idee, tanto che tornavo a casa e continuavo a coltivare semi di basilico o pomodoro nel corridoio, oppure finivo lo zucchero dalla dispensa in cucina per ricreare i cristalli tramite evaporazione. Mia madre non si è mai arrabbiata o stufata di fornirmi materia prima per tutti i miei esperimenti. Ha solo fatto attenzione che non intasassi lo scarico della vasca da bagno con la pastella di amido di mais, quella volta che tentai di ricreare il fluido non newtoniano (clic qui se vuoi farlo anche tu, di nascosto).
Tutto ciò per dire che il tempo che Chiara aveva a disposizione per noi durante quei rari venerdì era davvero ristretto. O meglio, eravamo noi che purtroppo avevamo poco tempo da passare con lei a fare educazione ambientale. E comunque quando si tornava in classe la maestra di matematica zittiva l’emozione generale dichiarando guerra alla scompostezza, alle maniche arrotolate fino ai gomiti ed alla così detta distrazione. Di cosa e da cosa poi, non si è mai capito. Eravamo solamente felici.
Seduti, ora vi tocca la matematica, diceva iniziando a scorrere le sue dita laccate di rosso sul registro.
E dico io, seconda elementare. Terrorismo puro.

Ora, a distanza di anni, ricordo ancora benissimo la sensazione di disgusto per le tabelline, le divisioni, gli insiemi. Tutte cose con le quali devo allegramente fare i conti ogni giorno a lavoro e non. Ho sempre odiato la matematica, ma ora ci convivo come la miglior moglie fa, abituata al suo peggior e unico marito.

L’italiano invece non lo odio, e nemmeno scienze. Anche se a volte mi capita di omettere qualche H lasciando singole vocali tra un pronome ed un verbo, o di sbagliare le percentuali di soda e limone per sbiancare le pentole in cucina dopo aver bruciato il risotto ai funghi.