La casa in cui vivo sta per compiere due anni. Due anni con me dentro e cinquant’anni alle sue spalle di questi ultimi. Sono entrata qui con una valigia, svariate borse della spesa piene di vestiti e una lavatrice usata. Due giorni fa quella stessa lavatrice, in fase di centrifuga, ha perso una vite che mi ha fatto passare le ultime ore libere di una giornata piena di carte e telefonate aziendali piegata sotto il mobile della cucina, ad asciugare pozze di acqua e sapone. L’ho ricomprata, ho contato otto banconote lisce tirate fuori da sotto i maglioni piegati e le ho consegnate nelle mani di chi aveva trasportato quei 70 chili di cestello e ferro su per tre rampe di scale.
L’abbiamo aspettata mentre il caffè iniziava a bollire, ci siamo sentiti in imbarazzo di fronte al cambio nuovo-usato e mi è dispiaciuto vedere andare via quel parallelepipedo bianco che ha lavato le mie mutande, lenzuola, maglioni, indistintamente e senza preferenze. Due tasti: programma lento o veloce, che vuoi? Lento, bene, avrò finito per quando tornerai a casa. Veloce? Se non torni ti ammuffisco il carico, stàttenta.
Poi, in realtà quella nuova è uguale alla vecchia, fa solo un po’ meno rumore, non cammina in giro per la stanza quando fa al centrifuga ed è bello ritrovarla nel suo angolo, dove è attaccata, anche a fine lavaggio.