6 Novembre [#TèProgect]

Ed era un periodo che tornavo a casa, mettevo a bollire l’acqua per il tè e sapevo che avrei dovuto fare delle cose, cose in scadenza. Allora per non distrarmi non è che spegnevo il telefono, lo mettevo sulla lavatrice, dall’altra parte della stanza, subito dopo il lavello, cosicché c’era tra noi -me e il telefono- un tavolo, il frigo, il fornello, lo scolapiatti, il lavello e il cesto delle arance. Poi la lavatrice. È una di quelle che si aprono da sopra, di una larghezza improponibile, un mobiletto praticamente, chissà da che fabbrica dev’essere uscita, quella lavatrice, fa un rumore quando mi centrifuga i panni, però che bella è, che occupa così poco spazio.

Quando stavo negli Stati Uniti e dovevo fare il bucato sapevo che ci avrei messo due ore esatte per ogni singola sessione: una per lavare e una per asciugare. A volte mi mettevo perfino a studiare la grammatica inglese sull’asciugatrice, sessanta minuti di pura concentrazione.

Qui invece non si capisce bene quanto tempo ci metteranno i pantaloni e le lenzuola a lavarsi, a volte si ferma tutto, mi tocca spegnere e riavviare il programma. Questo succede quando si accetta quel che passa il convento (una volta c’era il periodo in cui stavo ristrutturando questa casa e dentro non c’era niente, nemmeno l’impianto elettrico, allora su un sito di annunci ho trovato uno che vendeva una lavatrice, stava a Roma est, molto est, e sono andata a prenderla con quello che, sempre una volta, era il direttore del giornale per il quale scrivevo. E niente, l’ho portata a casa tutta felice, cinquanta euro in meno e quella lavatrice magra magra che stava tutta d’un pezzo nel bagagliaio, che entrava in ogni angolo una volta portata su al terzo piano. L’ho sistemata nell’unico spazio di sessanta centimetri che avevo tra il lavello e il muro), insomma, fa il suo dovere, una volta obbligata, ma di certo non mi ci posso sedere sopra a leggere.

Mia nonna che sta in Kazakistan, per esempio, ha una lavatrice piccolissima, delle dimensioni di un microonde. Ricordo che un giorno le ho chiesto se va a manovella e lei si è offesa, mi è sembrato. «Se è piccola non vuol dire che non funziona senza un aiuto» ha detto e un po’ mi è dispiaciuto perché, ho pensato, che è così facile fraintendere i vicini di casa, figuriamoci quando uno che sta dalla parte opposta del globo, con tutto quel fattore-cultura , fattore-interferenza, di mezzo, poi.

Che qui se ho una nonna è grazie a Skype e se ho una sorella che cresce come le piantine nel vaso sul davanzale è grazie a FaceTime e se ho una mamma che mi chiama e piange al telefono perché è stata al centro commerciale e ha visto i bambini saltare sui gonfiabili a forma di castello e ha pensato a noi, a me e mia sorella, io non so se è grazie alle chiamate illimitate di Wind o cosa. Insomma, cos’è tutta questa sofferenza-lontananza, io non ne ho idea. Che poi a casa nemmeno ci sfioriamo le mani, quando torno al nord.

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Poi niente, oggi ho fatto un calcolo e in tutta la mia vita ho usato 18 lavatrici diverse per lavare le mie cose, non una di più, contando anche quelle self service. Quindici con apertura laterale, tutte le altre con quella superiore. Per certe cose vagamente inutili ho più memoria che per i miei attuali turni di lavoro.
Faccio il tè con l’acqua evaporata da un pezzo, è un verde, con pezzettoni di ginseng vero, giuro.

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