Baraonda

Quando abitavo ancora con mia mamma, a volte, circa due volte a stagione, entrava in camera mia e io avevo già capito tutto. Facevo finta di essere impegnata a risolvere qualche equazione per scuola, tiravo fuori un libro, le tavole da disegno, mi rendevo impegnata dal nulla nel nulla mentre lei apriva il mio armadio infilandocisi quasi dentro e mi chiedeva con il tono di mamma autoritaria se non fosse il caso di mettere a posto la baraonda che si era formata, a forza di provare e poi ributtare i vestiti non piegati su se stessi, nell’armadio. Mi diceva Rimetti a posto la baraonda, puoi farlo anche dopo aver finito di far finta di fare altre cose e a me saliva un incredibile voglia di finire ics alla seconda meno due radice quadrata di due ics più due.

La baraonda comunque rimaneva lì, nell’armadio, sarebbero bastati dieci minuti per piegare maglioni, pantaloni, canottiere, io pure iniziavo, trovavo anche cose che avevo perso nella stagione prima, ma poi mi perdevo davvero nelle cose che avevo iniziato per finta.
È così che ho finito le lettere di Jacopo Ortis, ad ogni modo. E pure scoperto che mi piaceva la matematica.

Comunque, a me le equazioni che per risultato fanno zero, una volta risolte, mi sembrano proprio uno spreco, anche di tempo.

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