Questa mattina, che era il quattro di gennaio, sembrava ancora settembre (perché a volte capita che mi sveglio e vedo ancora le foglie che cadono dagli alberi di Viale Angelico, anche se soltanto il giorno prima gli stessi rami erano spogli e magri). Allora ho fatto le solite cose che faccio la mattina, dopo la doccia il tè e pancarrè e dopo il pancarrè la ricerca dei calzini nella stanza ancora buia. Avrei dovuto iniziare il turno in libreria all’una, così avevo tutto il tempo a disposizione alcune commissioni a Trastevere. Forse anche per un arancino, con calma.
Arrivata in piazzale, visto che ogni giorno ormai me ne accade una, anche quest’oggi non mi sono risparmiata la dose di imprevisti, quelli visti con la coda dell’occhio.
La città brulicava di gente, tutti sembravano aver avuto la stessa idea di portare a spasso il proprio cane alle nove e mezza e il 130F non partiva. Sapevo di aver tempo ma iniziavo a spazientirmi per un motivo che non so, forse perché ognuno avevano iniziato a rigirarsi sul posto. Era domenica anche per i motori a quanto pare.
L’autista cercava invano di girare la chiave ma non accadeva nulla. Dieci minuti più tardi ha aperto uno sportello laterale, infilato le mani nelle viscere del mezzo e dopo uno scoppio sospetto, la carcassa dell’autobus, con tutti noi dentro, si è smossa da sola. Deve essersi spaventato chi passava in quel momento, davanti, vedendolo spostarsi e la cabina dell’autista vuota. Quando è risalito a bordo, un suo collega gli ha fatto aprire il finestrino e, battendo la mano sulla spalla, ridendo ha detto qualcosa come torna vincitore. Allora mi è sembrato proprio un bel lavoro quello dell’autista di autobus, che non poteva gestire alcun ritardo, ne suo ne quello di noi seduti sulle seggiole di plastica rossa, eppure aveva questi colleghi che lo auguravano vincitore.
Le commissioni poi non le ho fatte, perché ci siamo messi a parlare, io e lui, mentre guidava. O meglio, lui faceva le domande, sei di Roma, dove stai andando, che cucina ti piace e cose così, e io rispondevo cercando di non perdere il filo. I sampietrini romani sono un bell’ostacolo al dialogo quando si viaggia su gomma, mi ha detto ad un certo punto, quando non si sentiva cosa dicevo per il trum trum. Stavo proprio davanti, appoggiata al vetro perpendicolare del parabrezza, quindi vedevo scorrere la strada dritta quasi sotto i piedi.
Poi non sono scesa dove dovevo scendere, per distrazione forse o forse no, e siamo arrivati fin dopo l’Eur, fino a Spinaceto che è proprio un bel nome per una località che sta in periferia. Abbiamo preso un caffè, fatto riposare l’autobus e chiacchierato del più e del meno. Le mie commissioni erano ormai saltate da un pezzo, avrei avuto giusto il tempo per prendere il treno fino alla città dove lavoro, e nel momento di ripartire c’è stato di nuovo quel problema al motore, così l’autista ha sbuffato togliendosi la giacca di servizio e, arrotolando le maniche del suo maglione rosso, è sceso di nuovo. Fuori era ancora settembre, abbiamo fatto salire gli ultimi due signori e richiuso le porte.
Così è andata questa mattina, giro turistico oltre il raccordo anulare di Roma, caffè incluso.