Questa mattina un attimo prima che suonasse la sveglia ho aperto gli occhi e mi è subito balenato in testa che in meno di un’ora avrei dovuto di nuovo avere a che fare con cemento, spatole e pennelli. L’idea di per se non era scomoda, anzi non vedevo l’ora, ma mi ero addormentata con il braccio sotto il cuscino che era così intorpidito che sembrava non ci fosse.
Sono scesa reggendo la borsa con la sinistra mentre l’altra mano si stava riprendendo con comodo e per le scale non ho fatto a meno di notare pezzi di intonaco scrostato un po’ ovunque. I muratori stavano salendo due scalini alla volta, ci siamo incrociati e uno di questi mi ha porto la mano per un saluto ma non ho potuto proprio ricambiare. Stavo giusto in quel momento di crisi che è l’attraversata di formiche dall’avambraccio alle falangette.
Per qualche strano e curioso motivo ci siamo ritrovati in due a ristrutturare il murales che tra l’altro si è rivelato di più strati, rimossi tutti meticolosamente nei punti più rovinati fino al cemento e coperto poi di rasante (ovviamente non prima di aver tolto con unghie e denti lo stucco bianco che il giorno precedente avevo applicato noncurante del livello mostruoso di umidità della parete).
Ora non mi resterà che completare il pesce e le sue lische cercando di avvicinarmi il più possibile al suo colore originale, nonché ultimo dei quattro strati.