Quando mi chiedono che lavoro faccio, ultimamente, mi confondo nel dare una risposta. Non so mai se rispondere accennando a questa strana carriera da libraia o srotolare il mio passato mosaicista.
Di solito ho sempre seguito la regola del presente: se inquietante quel periodo lavoravo presso un’enoteca dicevo che facevo la barista, quando stavo dietro la cassa di un ipermercato ero automaticamente una cassiera. L’anno scorso mi trovavo in america nei panni di ragazza alla pari e pulivo le ginocchia dei bambini dal terriccio.
Qui il fatto di stare gran parte del giorno in una libreria mi rende vulnerabile ad un’innocua domanda sull’occupazione perché divento contemporaneamente commessa, cassiera, curatrice, lettrice e fortunata nullafacente. Gli scaffali invece dei muri spogli di casa, i libri i migliori soprammobili, ognuno con la propria storia. E fin qui resto nel banale romanticismo. Malattia non infettiva, niente paura.
Questa mattina poi è accaduto esattamente ciò che sospettavo sarebbe successo prima o poi. Rientrando in cucina c’erano già i muratori all’azione con il cemento portland e le cazzuole in acciaio. Entrano ed escono di casa come nulla fosse, addirittura uno di loro ha iniziato a chiamare zia la mia anziana coinquilina, nonché proprietaria dell’appartamento. C’era odore di caffè, sigarette, rosmarino e dopobarba e per un attimo ho pensato che mi era mancato avere uomini in giro per casa, ricordo di quando le mensole non cadevano e nessuno lasciava in giro per casa salviette struccanti, a parte me.
Ci siamo seduti tutti attorno al tavolo e mentre ciascuno versava nel proprio caffè zucchero, dolcificante o grappa a seconda del proprio passato o presente, io ho azzardato a chiedere come mai non avessero isolato il massello prima di posare le piastrelle in gres, facendo notare che su quel terrazzo ha sempre piovuto molto. Roba tecnica insomma, roba da piastrellista in erba post laurea.
Si sono subito agitati, ma di quell’agitazione complice di chi sa di parlare con qualcuno che parla la stessa lingua. Ogni minuto che passava rispolveravo la sensazione delle mani sporche di malta e i gomiti che prudono per la polvere. Abbiamo riso a proposito di caldane mescolate con vinavil e sabbia di Riccione, per risparmiare. E che bella cosa farsi spiegare, alla fine, che esistono livellanti impermeabili, poi chisseneimporta se mai li useremo.
Al diavolo la carta, io voglio fare l’operaia ho pensato ad un certo punto, poi mi è passato, ma ad un certo momento mi sono trovata dalla parte della semi-ignoranza in materia e non più nel settore Chronotropic Incompetence.
Che amabile conversazione tra muratori oggi.
Dopo mezz’ora avevo ricevuto in dono due litri di aggrappante Planitop 220, una sostanza lattiginosa che domani userò per iniziare il restauro su commissione di una lisca di pesce enorme. Acrilico su parete umida, per intenderci. E pruderanno i gomiti fino a sera.