Dall’altra parte della strada invece si parlava di tutt’altro.
Io non potevo saperlo, ma ne ero certa: nella casa di April i frighi si chiudevano e si aprivano non più di tre volte al giorno.
Sono entrata a casa sua il giorno stesso in cui noi, dall’altra parte della strada, abbiamo rischiato di affogare nella birra e tra i formaggi. Anthony e suo fratello giocavano con le figlie di April nel loro giardino. Lei mi ha presentato con orgoglio suo marito, un uomo dagli occhi nascosti sotto le rughe della fronte. Un uomo che dev’essere stato contraddetto troppo nella sua vita, ho pensato.
Dipenge acquerelli da molti anni,
aveva smesso con l’aumento degli impegni ma, da quando l’uragano a Novembre ha portato via mezza cucina, ha ripreso il pennello in mano ed ha cominciato a ricoprirne la parete sostitutiva di compensato, quella dietro il vecchio fornello in simil ghisa. I fogli si arricciano con l’umidità, mi ha detto sorridendo, ogni tanto li stacco, li butto nel cestino e ne dipingo altri.
Faccio qualche passo ed il pavimento di legno opaco scricchiola nonostante i miei piedi scalzi. L’odore di quella stanza è un misto tra coperte di lana appena tirate fuori dall’armadio, naftalina e spezie. Un po’ come quando la nonna d’inverno faceva le castagne per me e mia sorella:
Arrivavano addirittura i cugini quando lei le preparava, ma a me non piacevano molto così ne mangiavo giusto un paio, per farla contenta, e me ne stavo avvolta nella coperta accanto alla sua stufa in cucina guardando tutte quelle mani impegnate. A volte stando così vicina la coperta iniziava a puzzare di bruciato, lana cotta, e la nonna diceva và che ti brusi! La vuoi una castagna?
Quella casa aveva lo stesso tepore invernale, anche a Maggio.
C’era una montagna di vestiti puliti e asciutti sul divano, la sedia a dondolo e un gatto sopra, in un angolo. Un’orchidea senza fiori sul davanzale.
La cucina è anche il salotto e oltre – divisa da una tenda a quadri – intravedevo i contorni di un letto.
Abbiamo parlato dei colori verde e arancio mescolati insieme, dei suoi campi verdi immensi al tramonto dipinti su grana grossa,
di come sua moglie conservasse ogni singolo suo disegno o scarabocchio, perfino dal cestino, a volte anche i fogli di carta assorbente dove puliva i pennelli
e se ne vergognava lui, ma in fondo gli piaceva la cura con la quale April lo salvava, li salvava.
La loro casa non aveva un frigo ad altezza uomo, ma ben due. Due piccoli frigobar da camera impilati uno sopra l’altro e collegati alla corrente sotto il lavello. Arrivavano appena alla mia anca ed erano accanto al tavolo con quattro sedie diverse, in cucina.
Mentre mi guardavo attorno lui ne ha aperto uno e ha tirato fuori un cubetto incartato in lamina dorata posandolo accanto il fornello
–Il lievito, per mia moglie, meglio se è tiepido… oggi tocca fare il pane– ha detto aprendo l’anta di un mobile accanto. Poi si è fermato e girato verso di me con aria dubbiosa e quasi rassegnata.
Che meraviglia, fanno il pane. Da quando sono arrivata qui non faccio altro che mangiare bauletti pretagliati e confezionati. Se proprio voglio trasgredire faccio un salto al panificio per una baguette. Cinque dollari. Grazie Francia che mi ricordi l’italia.
– No. Non abbiamo più la cannella. Vada per gli hot dog- ha concluso, rimettendo il lievito in frigo e tirando fuori un pacco di pane congelato e una confezione formato famiglia di wurstel.
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