[in foto: classici gabbiani testanera, virgole del North Carolina in una qualsiasi giornata di Marzo.]
Quando le luci si spengono, i pavimenti smettono di rimbombare i passi dei piedini dei bambini szampettanti su e giù e per le scale,
quando inizio a sentire un cambio di intonazione nelle voci oltre il muro,
da interrogative passare a semplici affermazioni di qualche parola.
Qualcosa-qualcosa-silenzio
Qualcosa-silenzio
Silenzio grande
ed ancora qualcosa, non più lungo di una parola con una vocale. E basta.
Accade ogni sera. Ed è questo il limite della routine. Fino a qui tutto uguale, con la variante degli ingredienti per cena (oggi era una bella
Fiorenza, probabilmente mutazione letterale di Fiorentina).
Alle nove e venticinque si spegne tutto e la mia routine finalmente si spezza. Riordino i libri di inglese, apro le finestre.
Accendo la musica, chiudo i cassetti lasciati aperti
oggi.
Ieri mi sono semplicemente limitata a cambiare l’ordine delle lampade sui comodini.
Dicevo
la magia inizia se esco dalla mia stanza dopo le nove e vinicinque.
Nessuno l’ha deciso, ma da una settimana ho iniziato a frequentare la cucina ad ore improbabili.
Mi sento padrona della casa senza neppure sfiorare un mobile, mentre procedo verso il salotto a piedi nudi sul pavimento in legno
via
fino all’altra parte della sala.
E lui ci riesce,
il silenzio.
Smussa la sensazione di estraneità che spesso provo di giorno, qui dentro, circondata da altri come me che
per forza di fatti respirano.
Sentirsi a proprio agio al buio è una delle cose più difficili da fare, quando si è con se stessi.
Quando regolarmente accade di scontrarcisi,
ci addormentiamo
noi,
e il buio scompare.
Lo chiamiamo tempo di dormire e lo difendiamo con l’arma della stanchezza. Bella scusa.
Orgogliosa sorrido al mobiletto delle spezie davanti a me e tamburello con le dita sul marmo fresco, perché anche oggi non ho perso niente.
Poi l’acqua bolle, prendo qualche biscotto dalla dispensa e a tentoni torno sul mio sgabello.
Non mi freghi buio, questa volta,
affogherò il sonno nella tazza e fingerò di avere tempo,
in compagnia della solitudine,
che poi ha una faccia oggi!
Tale e quale alla mia.